Già premio della critica 2023 al Torneo dei Poeti, classe 1988, Fabio Piana torna in libreria per i tipi di Catartica con una raccolta di 57 componimenti poetici dal titolo “La giacca” (80 pp.), corredata da una prefazione di Cristian Flore.

La giacca è pretesto del quotidiano per raccontare l’io, l’esperienza, il vissuto: la giacca è memoria, la indossiamo e la sfiliamo, la appoggiamo sulle sedie e la appendiamo. Sono gesti colti nel loro divenire, supportati dalla scelta frequente di participi presenti che sostengono l’accadere invece che raccontare l’accaduto. È poetica del presente, quella di Piana, nella quale la riflessione passa attraverso scelte lessicali che costringono la parola oltre il suo significato alterando il significante: la giacca, nell'espressione dell'autore, diviene “aggiaccante”. Non è affatto un divertissement, quanto un modo di determinare uno spazio semantico personale e preciso, piegando la lingua alla funzione narrativa. Per questo la giacca è aggiaccante, fa il suo dovere, svolge il compito per cui è confezionata ma lo fa evocando il brivido attraverso la sottrazione di una singola consonante, la h. È nel verso successivo del componimento – “simulante spaventapasseri di ghiaccio” – che viene determinata la percezione esterna, ciò che ad altri quell’istante potrebbe sembrare. Allo stesso modo, in “Da un anno all’altro”, non sono occhiali da vista quelli che l’autore ci invita a indossare, ma da Vita, per non “commettere gli stessi errori di battitura” degli anni trascorsi (chissà, forse invano). 

Emergono dalle pagine istantanee frastagliate, personaggi che appaiono per poi svanire, e in questo modo l’esperienza per il lettore somiglia a quella di trovarsi di fronte a fotografie strappate; a questo collage siamo chiamati a dare un senso, a partire dalla nostra esperienza, mediata da quella osservata. 

E l’amore? L’amore viene definito come qualcosa che c’è, resta, che attraversa il deserto; luogo d’elezione per il conflitto (con sé e con l'altro), può farsi vento leggero, divenire assenza come in “Firenze” e arrivare perfino a sparire. E dunque infine resta, sì, ma nelle ferite che lascia.

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