Alla fine si torna sempre al centro storico, non in senso urbanistico ma politico. Molti dicono che l’attuale opposizione sia la migliore garanzia di lunga vita del governo Meloni: curiosamente, la critica arriva sia dalla sinistra-sinistra che dai moderati; è una delle poche cose su cui concordano. A rilanciarla, stavolta, è uno che in quel centro (storico) ha da sempre eletto domicilio: Pier Ferdinando Casini, ora senatore eletto col Pd ma democristiano dentro. L’ex leader Udc sarà oggi all’Exmà di Cagliari per l’iniziativa voluta dal senatore Dem Marco Meloni (“Facciamo il punto”, due giorni di incontri su vari temi, si parte stamattina alle 10; alle 16.30 la tavola rotonda sulla sanità con, tra gli altri, l’ex ministro Roberto Speranza e il presidente Gimbe Nino Cartabellotta). Casini interverrà alle 17.30 al dibattito su “Democrazia in crisi, mondo in fiamme”: «Senza una maggiore unità politica – avverte – l’Europa rischia di non contare più nulla nelle crisi internazionali».

E l’Italia? Qual è il suo ruolo, nel frangente attuale?

«Difficile rispondere. Non è quello che i nostri governanti dicono, e neppure quello che a volte l’opposizione dichiara. L’Italia resta comunque tra i Paesi importanti del pianeta. Ma lo schema di gioco è cambiato profondamente, e questo ci rende più fragili. Le faccio un esempio che riguarda da vicino la Sardegna: il Mediterraneo. Senza un’Europa unita, e una politica estera e di difesa comuni, l’Europa mediterranea conta sempre meno. Gli stakeholder sono diventati i russi e i turchi. Il caso tipico è la Libia, dove italiani e francesi per anni hanno litigato: ma oggi entrambe le potenze europee sono irrilevanti».

Adesso conta molto Erdogan.

«Il governo di Tripoli è sostenuto dalla Turchia, mentre Haftar dai russi e dagli Emirati Arabi Uniti. Il risultato è che turchi e russi hanno il rubinetto dell’emigrazione, che possono aprire a loro piacere. L’Italia, in questo quadro, conta ben poco».

Come l’Europa su altri scenari.

«Ma infatti non è che la Germania o anche la Francia, che pure è una potenza nucleare, contino molto di più. L’irrilevanza è un rischio comune. È stato detto, con un’immagine efficace, che in un mondo di carnivori non c’è più spazio per gli erbivori».

E noi…

«Siamo nella seconda categoria, per cui dobbiamo attrezzarci».

Aumentare la spesa per la difesa è un modo per farlo?

«È un tema affrontato spesso in modo superficiale. Sembra che le spese per la difesa riguardino razzi, carri armati... Ma il concetto di sicurezza non è più quello del secondo dopoguerra. Oggi gli ucraini mettono fuori uso carri armati che costano miliardi con droni da 50mila euro. Ora è decisiva la cyber-security, per la difesa delle infrastrutture strategiche del Paese, la protezione del traffico aereo e ferroviario, persino la prevenzione delle fake news».

Però uno sforzo economico su questi aspetti, mentre si deve tagliare sul fronte interno, è difficile da far digerire ai cittadini.

«Sì, perché la politica, quando non ottiene risultati, perde la sua capacità pedagogica. È ovvio che le emergenze siano sanità, scuola, salari; ed è chiaro che la gente non capisce i tagli su questo. Ma le spese per una difesa europea senza le duplicazioni di questi anni sono una necessità, se vogliamo essere liberi. Se no, accettiamo di essere sudditi».

Nel nuovo ordine mondiale dell’era Trump, lei come si ritrova?

«Male, perché rischiamo di lasciare ai nostri figli un mondo in cui la regola è diventata la forza. Lo stesso processo che ha portato alla pace di Sharm el-Sheikh è basato sulla forza di Netanyahu e Trump, a cui gli altri si sono adeguati. Per carità, è bene che ci sia stato Sharm el-Sheikh, ma nel frattempo c’è stata un’inutile strage di migliaia di vite».

È una tendenza reversibile?

«Vede, dopo la guerra noi e gli Usa eravamo uniti non solo in un sistema di alleanze, ma nella costruzione di un modello multilaterale. “America First” demolisce anzitutto quella costruzione, che è tipica dell’Occidente: perché invece Putin o Xi non hanno bisogno del multilateralismo, sono i prodotti di un altro sistema, si garantiscono con la forza».

Come può l’Europa recuperare un ruolo in questo scenario?

«Anzitutto, costruendo un’unità della politica estera e di difesa. L’Europa non può reggere solo su una dimensione economica. E anche su questa ci sarebbe da dire: abbiamo la moneta unica, abbiamo fatto un gigantesco trasferimento di sovranità a Bruxelles, ma non abbiamo fatto quello che Enrico Letta e Mario Draghi hanno chiesto, ad esempio sull’integrazione dei mercati di capitale. Quando Trump rappresenta gli europei come degli scrocconi, guarda alla bilancia dei pagamenti. Ma questo è solo un aspetto. I servizi di cui usufruiamo sono tutti a stelle e strisce. Contribuiamo fortemente a rendere prospero il sistema americano».

Con ogni transazione delle carte di credito, per esempio.

«Carte, telefonini, gli esempi sono innumerevoli. L’innovazione delle start-up americane è finanziata da giganteschi capitali dei risparmiatori europei che vanno lì, perché non c'è un vero mercato unico dei capitali da noi. Altro che scrocconi».

Tornando all’Italia, come valuta le accuse all’opposizione di strumentalizzare i cortei per Gaza?

«Guardi, io ho visto un sentimento collettivo molto radicato nel Paese, che chiedeva di fermare la strage. L’opinione pubblica italiana è più avvertita di quel che pensiamo: è inorridita per quello che ha fatto Hamas il 7 ottobre, ed è inorridita per una reazione apparsa a tutti spropositata. Cinque anni fa, nel libro “C’era una volta la politica”, ho scritto che finché non si darà la prospettiva di uno Stato ai palestinesi, non ci sarà pace in quella parte del mondo. Per questo io sono assolutamente convinto che l’Italia debba riconoscere lo Stato palestinese, come Francia e Regno Unito. È il sentiment del Paese».

Non creerà problemi con Israele?

«Questo non contrasta con l’amicizia storica che abbiamo verso Israele. La sicurezza dello Stato israeliano sta a cuore a tutti, ma non possiamo togliere al popolo palestinese la speranza di esistere. Quanto alle accuse all’opposizione… Dicono che Elly Schlein ha detto in Europa cose che fanno male all’Italia; poi l’altro giorno al Senato Franceschini ha tirato fuori il resoconto stenografico di quello che diceva Giorgia Meloni sull’Italia quando all’opposizione c’era lei, e i toni non cambiano molto. Questo è un male per l'Italia, ma è un male comune».

Che limiti vede nel governo?

«A parte una leadership molto riconoscibile, il livello del governo è basso. C’è una notevole mediocrità della classe dirigente. Risposte sulle questioni sociali non ce ne sono, la manovra è elogiata perché non fa danni, non perché incida davvero. Il governo confida nella mancanza di un’alternativa, non brilla di luce propria».

C’è chi dice che con questa opposizione Giorgia Meloni governerà per vent'anni.

«Purtroppo è la fotografia della realtà. E dico purtroppo da tutti i punti di vista, perché un’opposizione credibile rende più credibile anche il governo. Se il governo non si sente incalzato da una possibile alternativa, ha un delirio di onnipotenza. La democrazia compiuta si basa su un’alternanza almeno potenziale».

Cosa potrebbe fare l’opposizione di diverso?

«Anzitutto io penso che, nel mondo odierno, non si può essere alternativa credibile se non si ha una politica estera comune. E invece anche in questi giorni vediamo posizioni diverse. Sull’Ucraina io apprezzo molto la linea del Pd, che tiene duro come del resto fece la Meloni quando era all’opposizione di Draghi. Perché difendere l'Ucraina è difendere l'Europa. Non a caso, non lo capisce chi è contro l’Europa. Bisognerebbe chiedersi perché i sovranisti di destra sono tutti filorussi. Il più grande nemico dell’Europa è Putin».

Quindi non c’è futuro per un Campo largo con Pd e 5Stelle.

«Io capisco l'esigenza di mettere assieme forze diverse. D’altronde, non mi sembra che Vannacci e Meloni siano la stessa cosa. O Tajani e Borghi. Ma la differenza è che nel centrodestra, sulla linea politica, alla fine dà le carte Giorgia Meloni, mentre all’opposizione, senza una leadership così solida, c’è difficoltà».

Ilprogetto riformista di Renzi può aiutare il centrosinistra?

«È indispensabile avere una pluralità di forze nel centrosinistra, che comprenda un'area moderata, popolare, centrista. Altrimenti l’opposizione parte già penalizzata. Chi lo deve fare? Certo non figure del passato, come me; semmai forze giovani, che abbiano una spinta nuova, una bella vitalità. Ma è assolutamente necessario che questo accada».

Giuseppe Meloni

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