"Cara Unione,

in questi giorni leggiamo sui giornali appelli alla chiarezza, anche in relazione alla domanda cruciale su quanto durerà l’emergenza COVID-19.

Vorremmo in queste poche righe provare a dare un contributo in questa direzione per quanto di nostra competenza, e cioè cosa ci dicono i modelli matematici delle epidemie; e con l’occasione parlare di altre questioni “di numeri”.

Possiamo agire sulla dinamica dell’epidemia in due modi, attraverso il distanziamento sociale, e attraverso il tracciamento (e l’isolamento rapido) dei contatti degli infetti. Ambedue queste strategie abbassano il picco epidemico ed il numero di malati che ogni giorno arrivano nei nostri ospedali e nei reparti di terapia intensiva, ma hanno un effetto molto diverso sullo sviluppo dell’epidemia. Infatti nel caso del distanziamento sociale ad un abbassamento del picco corrisponde un allargamento della curva; abbiamo quindi un tempo più lungo in cui si ha un numero di infetti superiore ad un livello considerato accettabile. Al contrario le misure di tracciamento permettono non solo di abbassare il picco ma anche di restringere la larghezza della curva, quindi ridurre il tempo della crisi.

A questo proposito vorremmo aggiungere che in concreto per il tracciamento si fa spesso l’esempio della Corea; ma il lavoro sul campo dei medici di Padova – illustrato anche nelle interviste alla stampa del prof. Crisanti – ci mostra che è possibile effettuarlo in modo efficace anche senza ricorrere alle tecnologie messe in opera in quel contesto, e non (ancora) disponibili da noi.

Nel considerare i numeri della crisi è utile considerare anche i dati di mortalità forniti dall’ISTAT. Da questi risulta che in un anno “normale” (il 2018) ci sono stati in Italia circa 233.000 morti per patologie del sistema cardiocircolatorio come causa principale, ed altri 50.000 come concausa; più altri 22.000 morti per diabete. Si tratta di patologie sicuramente aggravate dall’obbligo di sedentarietà imposto dal tipo di restrizioni in atto.

Non abbiamo le competenze per valutare quanto questi numeri saliranno a seconda della durata delle limitazioni all’attività fisica anche individuale, ma sarebbe utile che il dibattito considerasse questo aspetto e coinvolgesse i medici che si occupano di queste patologie.

C’è un’altra considerazione sui numeri che ci sembra rilevante: sebbene la stampa si concentri sul problema costituito da chi esce a piedi, ci sono altri numeri che andrebbero presi in considerazione per capire in modo meno folcloristico il problema.

Sappiamo che in Cina circa un terzo delle infezioni è avvenuto in ambito casalingo, ma nessuna raccomandazione per limitare questa modalità è stata fatta in Italia;

I dati sulla mobilità forniti da Google mostrano che per l’unico ambito indipendente dalle diverse scelte nelle diverse nazioni, cioè i movimenti verso i negozi di alimentari, l’Italia è tra i grandi paesi europei quello che ha maggiormente ridotto la sua mobilità.

A questo stadio della pandemia, quando si entra in un piccolo supermercato lombardo (200 visitatori al giorno) la probabilità che nelle 24 ore precedenti vi sia transitato almeno un infettivo è superiore al 60%; in un grande supermercato (1000 visitatori) sale al 99%.

Studi molto affidabili sul tema mostrano che mentre all’aperto si può essere tranquilli con una distanza di sicurezza dell’ordine di un metro o due, il virus può permanere sulle superfici per più giorni.

Ci sembra quindi che sarebbe opportuno avere un approccio più razionale al problema, e tornare a concentrarsi sugli aspetti sanitari, e non solo su quelli “di ordine pubblico”, della situazione, anche e soprattutto per fornire ai lettori – e ai decisori - maggior consapevolezza di quali sono i comportamenti realmente a rischio: ad esempio, andare in continuazione al supermercato per sgranchirsi le gambe senza timore di infrangere il “io resto a casa”, o circolare per le corsie dello stesso senza guanti e mascherina, o non rispettare le norme negli ambienti di lavoro. Sottolineando anche che restare a casa è un utile mezzo, ma lo scopo delle misure è ridurre i contatti".

Mariano Cadoni (dipartimento di Fisica, Università di Cagliari)

Giuseppe Gaeta (dipartimento di Matematica, Università di Milano)

Luca Peliti (già dipartimento di Fisica, Università di Napoli)

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