Se all’invenzione di Beppe Grillo “uno vale uno” avessero dato il giusto valore (pari a zero) il Paese avrebbe risparmiato oltre il danno la beffa: l’imitazione del gesto di Riccardo Pazzaglia che in “Quelli della notte” di Renzo Arbore, abbassandosi a livello di pavimento, indicava la bassa qualità dei governanti. Dopo quindici anni Giuseppe Conte rivisita lo slogan passato alla storia per aver offerto una delle tante chimere collettive che ciclicamente fanno uscire di testa gli italiani. Uno vale uno non significa, dice il leader, che se devi assegnare un incarico pubblico e complicato ci mandi uno qualunque ma “che la nostra deve essere una comunità in cui tutti devono poter contare”. Non bisognava scomodare il mago Otelma per prevedere che chiamando, come nella nuvoletta di Altan, “incompetenti per delicato incarico direttivo” avrebbe portato il niente del nulla: era nelle cose. Chiusa quella parentesi Conte ne apre un’altra: “tutti possono contare”. Nei fatti come? Votando alle primarie no, tanto a vincere sono sempre gli stessi: tempo sprecato. In politica neppure, si sa come va a finire: la spuntano gli amici degli amici, i fedelissimi a tempo e senza certificato di garanzia. Insomma, poco cambia; mandati in tribuna gli incompetenti, anche tra i competenti c’è sempre quello che compete per rubare raggi al sole e luce alle 5 Stelle.

© Riproduzione riservata