P er la triplice sindacale la protesta è un buffetto, il bau bau che spaventa il potere senza però mordere la gente che lavora e fa affari. Lo sciopero invece è il gancio allo stomaco del Paese, necessario perché la gente capisca che soffrire per una causa (a volte) giusta è star bene domani. C’è un posto che accomuna e divide, ossimoro e sostanza: la piazza, sede del vero Governo italiano; quella piazza che ha deciso la guerra e quell’altra che ha visto sfilare il contro sciopero dei quarantamila, copyright Fiat. Inutile prendersi e prenderci in giro, i sindacati da sempre sanno che per battere chiodo e fare risultato bisogna “scendere in piazza”, far rumore. I convegni e gli incontri non valgono neppure un fazzoletto di piazza San Giovanni. Ma lo sa bene anche la politica che però da tempo concede alla piazza solo sguardi inciuciati tra aperitivi rinforzati da pizzette e noccioline in un silenzio più sensato di parole senza senso. “È vero, facciamo politica visto che i partiti non la fanno più”. Presuntuoso Maurizio Landini? No, solo capofila di una realtà che la politica fru fru coltiva e accarezza. Landini e Bombardieri da piazza del Popolo hanno urlato “cambiamento”. Una settimana dopo da Santi Apostoli il segretario della Cisl Luigi Sbarra ha risposto “responsabilità”. Divisi ma nello stesso lettone, a due piazze.

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