L a cosa più facile di oggi (ce n’è una ogni giorno) è provare disgusto per le cose che la mamma dei fratelli Bianchi dice in parlatorio a uno dei figli, in cella da un anno con l’accusa di aver pestato a morte Willy Monteiro. In un’intercettazione che ieri è dilagata sulle testate online, la donna minimizza l’episodio e deplora il clamore fatto sul caso, e intanto un po’ rassicura il ragazzo sull’assoluzione e un po’ gli racconta quanto sia diventata dura per la famiglia la vita in paese. E tutto milita contro di lei, dalle cose che dice al suo lessico scabro.

La cosa più difficile di oggi (ce n’è una tutti i giorni) è capire che quelle parole non ci riguardano. Le cose dette a un carcerato per consolarlo, come le bugie dette a un ammalato per rincuorarlo, appartengono solo a chi le dice e al destinatario. Non sono dichiarazioni processuali o comizi, non sono dette o pensate immaginando che possano diventare di dominio pubblico. Con quell’aggressione i Bianchi hanno dato osceno spettacolo di sé, ma anche spiare Caino nell’intimità, per vedere quali menzogne si fa portare da casa per tirare avanti, non è civile. (Giusto, dirà un cronista allarmato, ché poi danno una stretta sulle intercettazioni e censureranno anche quelle del ministro che chiede tangenti. E invece no, tranquillo: la signora Bianchi non conta nulla. Se ci sarà la stretta non sarà per proteggere lei).

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