Tra pace e guerra
Caffè Scorretto
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T utti parlano di pace. Ognuno vuole la sua. Ma appena si intravede uno spiraglio, ancora prima di capire, tutti pronti a criticare, rimproverare, disapprovare, biasimare. Massimamente se gli attori non piacciono politicamente. Proposte di soluzione, nessuna. Tutti a dire: che la pace sia giusta. Quale sarebbe una pace giusta? E giusta per chi? Per Putin o per Zelensky? O per Trump, von der Leyen, Macron, Meloni? Papa Leone XIV indica come soluzione la via del dialogo e ammonisce: «Non serve il fuoco delle armi né quello delle parole che inceneriscono gli altri. I popoli amano la pace». È vero. Ma la amano più in astratto che nel concreto. Ce lo svela la storia dell’umanità. L’uomo, per sua predisposizione naturale ha sempre oscillato fra pace e guerra; non rinuncia alla prima ma non può fare a meno dell’altra: una spinta istintiva che sfugge alla ragione e che James Hillman, psicologo analista di scuola junghiana, definisce «una pulsione primaria e ambivalente della nostra specie». Dall’inconscio collettivo emerge un «Terribile amore per la guerra»: è questo il titolo di un suo saggio, esteso poi a libro, che vent’anni fa ottenne meditati consensi e disapprovazioni feroci. Hillman sostiene che dalla lettura della Storia emerge la «normalità della guerra», che nessun disarmato grido di pace è mai riuscito a contrastare. Tragica verità oggi sotto i nostri occhi.