G li avvenimenti in corso s’impongono all’attenzione generale e ci costringono a interessarcene. Le prime pagine dei quotidiani gli dedicano titoli vistosi. Fra quelli di sabato scorso uno ce n’è che più degli altri dà un senso prospettico ai violenti fatti accaduti durante le recenti manifestazioni ProPal-proGaza. Compare sotto la testata dell’Unità, foglio progressista per antonomasia. Solo due parole: «Intifada italiana». Anche se copiato da un giornale arabo ci piace credere che non voglia fare eco all’auspicio dei facinorosi sobillatori dei tumulti, quelli che urlavano «Meloni, Tajani e Salvini farete la fine di Mussolini». Fare riferimento all’Intifada, aggettivandola con malcelato compiacimento “italiana”, pare l’accettazione supina di una tragica prospettiva per il nostro Paese. Un primo segnale l’hanno dato i “giovani palestinesi italiani” a Bologna e Torino, dove con il supporto degli antagonisti dei centri sociali, tutti con kefiah al collo, hanno vandalizzato strade e piazze per «celebrare il 7 ottobre 2023». La frase è tratta dai loro volantini: celebrare, quindi onorare. Memento: intifada significa rivolta, sollevazione; contempla l’uso di armi da fuoco per compiere attentati e attacchi contro obiettivi civili e militari. Stiamo attenti, tutti e noi per primi, a non sottovalutare il peso delle parole. Che, se inappropriate, possono diventare bombe.

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