Per una cena in più
Caffè Scorretto
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M atteo Salvini ha preso l’impegno solenne (non a Pontida, sacra per un leghista, ma in campagna elettorale che è tutto dire) di azzerare il canone Rai. “Qualcuno con quei 90 euro si fa un pranzo o una cena in più”, ha tuonato. Sicuro. Non ci vuole una grande fantasia ad immaginare che il leader della Lega consideri superato il concetto di servizio pubblico e di conseguenza il canone. La domanda allora è: esiste ancora il servizio pubblico come ai tempi in cui la Rai insegnava a leggere e scrivere? Certo che no. Mandare in onda una piece teatrale magari lo è ma questo vale per la tivù pubblica come per le cosiddette commerciali che trasmettono spettacoli diversi ma sostanzialmente simili. Il cittadino vede una sola differenza, che è una debolezza: la vicinanza stretta alla politica che spesso rischia, come Icaro per la vicinanza al sole di bruciare la cera alle ali, di cascare giù seppellendo il monopolio morto ma ancora non sepolto. Se pensiamo al servizio pubblico pensiamo all’energia, al gas, alla salute, all’ambiente e non alla Rai tivù, un quarto canone e tre quarti pubblicità. L’ultima trovata per ovviare all’ovvio sarebbe una rete Rai senza pubblicità. Un’idiozia! C’è più servizio pubblico in certi spot pubblicitari di Fiorello che in alcune trasmissioni cult noiose da morire. Salvini ha ragione. Il canone è morto, evviva il cenone.