È piena di echi diversi la storia della giovane che per sbarazzarsi dell’oppressione di una famiglia invadente voleva fingersi morta, e quindi ha setacciato i social a caccia di una sosia, l’ha trovata, l’ha attirata con una proposta di lavoro fasulla e poi l’ha fatta massacrare di coltellate, anche in volto, in modo che parenti e investigatori credessero che il cadavere fosse il suo.

Verrebbe da fare un po’ di letteratura di consumo magari civettando con il Doppelgänger, il gemello malvagio, il mostro in agguato oltre lo specchio e via così. Ma forse è più attuale, e anche più appropriato, sottolineare che nelle cronache atroci che spesso ci tocca pubblicare liberarsi da una famiglia asfissiante di solito è l’aspirazione della vittima (vedi Saman Abbas e troppe altre), non il movente di chi uccide. E quindi la sosia feroce anche in questo è straniante, perché agisce in nome di quella che generalmente è una bandiera di libertà.

Ma a furia di raccontare storie dove vengono uccise le donne abbiamo imparato una cosa: l’importanza va data alla vittima, per una questione di dignità. E allora la protagonista di questa storia si chiamava Khadidja O. (la polizia tedesca non dà mai per esteso i cognomi), aveva 23 anni, era molto bella ed era una tedesca di origini algerine. L’altra è solo l’antagonista. E adesso è in galera.

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