N ota a margine degli sberleffi per i polpacci non depilati di Rackete: forse un problema nella lotta al body shaming sta nel fatto di chiamarlo body shaming. Perché è un’espressione angloamericana che a timpani maldisposti, o poco avvezzi, può evocare atmosfere da college dove dopo l’ora di cancel culture c'è quella di applicazioni etniche. È il problema che alligna nell’espressione “politicamente corretto”: per la sua formulazione sembra implicare che qualcuno si ritenga abbastanza migliore di me da correggermi. E questo in molti ha creato un deposito di insofferenza che è facile e redditizio mobilitare politicamente, a patto di essere abbastanza furbi. Perché è gratificante pensare che per essere un caustico anticonformista basti dire “Ciao guercio” a chi ha perso un occhio. Ma nel caso non sei un libero pensatore: sei un becero. Non basta ruttare per essere una voce fuori dal coro. Il fatto che qualche idiota sapiente voglia stravolgere e destoricizzare i romanzi di Mark Twain eliminando da quella prosa ottocentesca la parola “negro” non fa di te un Prezzolini (o un Pasolini) se la usi per Obama. E chi ti dice che è così, perché è ora di dire pane al pane e nano al nano, più che a Obama manca di rispetto a te. Perché punta sul fatto che non sarai mai capace di diventare un po' più aperto al mondo e rispettoso del prossimo. Che sia Rackete oppure Brunetta.


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