N el Pd demoralizzato dalla sconfitta alle politiche rispunta l’idea di cambiare tutto a cominciare dal nome. Può sembrare un’idea suggestiva ma in realtà è solo una scorciatoia.

Se nel 1991 il Partito comunista cambiò nome non fu perché aveva sempre perso le elezioni politiche ma perché non era più comunista. E allo stesso modo il suo erede, il Partito democratico della sinistra, nel ’98 scelse di chiamarsi solo Democratici di sinistra perché non era più un partito (se di un partito avesse avuto la solidità, o almeno la consapevolezza, non avrebbe poi candidato dei clericali come Binetti o dei reazionari come Calearo). Se ne deduce che nel 2007 la reincarnazione come Partito democratico alludeva all’essere di nuovo un partito, ma non più di sinistra. E possiamo dire che l’impegno è stato onorato a metà.

Se ora davvero si farà un nuovo giro all’anagrafe, i casi sono due. O si chiamerà semplicemente Partito, e questo darebbe senso a tutte le lamentose botte di autocoscienza sull’assenza nelle periferie, nei territori, nelle fabbriche (“Sai com’è, è partito...”). Oppure fa come Prince nel ’93 e si ribattezza Tafkapd, The Artist Formerly Known As Pd. Sarebbe così deliziosamente vintage che magari Veltroni si rimette a disposizione.

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