E c osì ieri gli studenti sono tornati in classe e non potevano usare il cellulare. Un paio di considerazioni: già l’uso della parola cellulare indica che chi scrive è un relitto del Novecento. Non avendo mai visto quei cosi grigi col disco numerato, i ragazzi usano direttamente la parola telefono. E poi: noi cellulari nisba eppure riuscivamo a distrarci lo stesso, e alla grande. Mandavamo a memoria le strisce dei Peanuts del diario scolastico, ci battevamo lealmente a tris, stilizzavamo in disegnini molto convenzionali le solite parti anatomiche e via così. Non dava dipendenza, non aveva l’effetto nicotinico di uno schermo digitale e infatti poi i fogli li accartocciavamo (e li tiravamo a Zuddas: scusaci ancora), ma quanto a librarci trasognati oltre il soffitto e la matematica, ci si librava altroché. Quindi non facciamo i toghi analogici usciti da Eton pieni di concetti.

Infine: sarà che riguarda la capacità di apprendimento e di relazione dei ragazzi, ma il dibattito sulla scuola detelefonizzata sembra civile. Per dire: Raimo, il più affilato e documentato contestatore di Valditara, parla di misura di buonsenso. Con dei distinguo, certo, con delle precisazioni. Cioè nel modo complesso ma senza scandalismi che anche altri hanno usato: prof ed ex prof, scrittori, più di uno studente. Fa piacere. Stai a vedere che levando il cellulare ai ragazzi reimpariamo a parlare tra di noi.

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