“ Questi monsignori, questi porporati, questi prìncipi della Chiesa, non erano diventati tali in seguito a una vincita al totocalcio. La scuola, pensò Santamaria, si sentiva”.

Solo un commissario creato a immagine e somiglianza di Fruttero & Lucentini poteva riuscire nel capolavoro da detective di avere ragione per due volte nel giro di due righe, quelle iniziali del capitolo sesto di “A che punto è la notte”. E quindi sì, la prima cosa che percepisci in questi monsignori, questi porporati, questi prìncipi della Chiesa che svolazzano per Roma, filmati col telefonino dai turisti giulivi che poi chiedono la benedizione, è che la scuola si sente. Classe millenaria e, appunto, principesca. Anche nel lasciarsi quotare sui giornali come cavalli da corsa, o affibbiare strane e strette maglie di progressismo o tradizionalismo. E poi, appunto, la porpora non l’hanno vinta al totocalcio: non ha senso guardarli come se avessero avuto una botta di fortuna. E però da prìncipi e sacerdoti sanno che l’invidia è il peccato degli sconfitti e va perdonata. Non ce ne vorranno se sospireremo gelosi al pensiero che da domani per un po’ lavoreranno nell’ufficio più quieto e bello del mondo. Il decoratore, per dire, è Michelangelo; a sera nessuno li assillerà chiedendo come è andata la giornata, pena la scomunica: nessuno potrà chiamarli, neanche per proporre un cambio di gestore dell’energia.

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