T anti anni fa, prima dell’irruzione sgargiante degli sponsor, l’automobilismo era un raffinato club di tinte unite: i bolidi italiani erano semplicemente rossi, quelli francesi blu, quelli inglesi verdi. Secondo una versione che alcuni contestano ma tutti trovano suggestiva, il grigio argento tedesco nacque perché nel 1934 una Mercedes fu trovata troppo pesante di un chilo rispetto al limite consentito e quindi la scuderia la scartavetrò nottetempo, facendola gareggiare sverniciata e scintillante.

Veniamo ai giorni nostri: Ita, che ha preso il posto di Alitalia buonanima, ha scelto per i suoi aerei un blu metallizzato da gianduiotto di nuova generazione. Ora un pezzo di “Domani” informa che questa livrea può appesantire i velivoli anche di trecento chili, con notevoli aggravi di consumo e quindi danni per le casse e per l’ambiente. Ora, va bene prendere lezioni di economia e pure di ambientalismo dalla Germania, e perfino da quella di settant’anni fa. Però, mannaggia, anche di stile?

Una scelta così, sbagliata e pacchianotta, si fa perché ci si crede fino in fondo (e buonanotte ai risparmi e all’ecologia) o perché si pensa che ai passeggeri piaccia questa roba? Il primo caso sarebbe bizzarro.

Il secondo un pochino offensivo.

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