A nche le ideologie hanno bisogno di marketing. Se ne sono accorti quelli del woke, che sotto le bordate di Trump traballano. E se traballano nella loro patria d’origine sono instabili ovunque. Anche in Italia. Dove, a Roma, si conclude oggi il MuPa, che di gran parte di quelle idee è un concentrato. MuPa è l’acronimo di Museo del Patriarcato, «uno spazio di riflessione e azione collettiva intorno al concetto di città transfemminista». Lo scopo della rassegna è «guardare il presente come se fosse già passato». Lo si guarda da un ipotetico anno 2148 in cui «il patriarcato sarà solo un brutto ricordo». La donna non sarà più sottomessa all’uomo patriarca e esprimerà il meglio di sé. Incominciamo subito questo viaggio verso il futuro. Presèntati, donna in cammino, al MuPa dove «ti aspettiamo per un appuntamento al buio. Sarà un’esperienza che parlerà di che cos’è la bellezza. Sì, puoi avere i peli; sì, puoi avere le mestruazioni e l’assorbente con le ali visibili; sì, ti puoi spogliare. Ti aspettiamo sexy come non mai». Infine, a suggello, uno strillo woke: «Il laboratorio è riservato a femmine lesbiche, intersessuali, non binarie, trans, agender». A questa splendente donna del futuro, ricca di valori woke e sessualmente fluida, noi retrogradi preferiamo quella che nasconde gli assorbenti e elimina i peli superflui. Ma, lo confessiamo, noi siamo vecchi patriarchi.

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