E venne il “dies irae” di Trump. Dazi come fulmini e crisi nei rapporti internazionali, collasso delle Borse, migliaia di miliardi in fumo, panico generale. Fine della globalizzazione? Sì, hanno sentenziato molti leader politici, cui hanno fatto da grancassa gli organi d’informazione. Conclusione affrettata e troppo generica: dalla globalizzazione non si torna indietro perché è il mondo stesso un villaggio globale. Ce lo svelò, inventando questa locuzione, Marshall McLuhan nel 1964. Tutto cominciò grazie allo sviluppo irrefrenabile della tecnologia della comunicazione. La gente dei cinque continenti divenne rapidamente una comunità interconnessa e integrata. Da allora diverse e molteplici culture si sono tra loro avvicinate, barriere geografiche e temporali sono state abbattute. Questa enorme forza comunicativa ha originato altre conoscenze e nuove consapevolezze. Come conseguenza la globalizzazione si è espansa in ogni settore: economia, politica, cultura e loro derivazioni. Gli strali di Trump hanno prodotto una crisi acuta, ma soltanto nell’ambito degli scambi commerciali; non hanno neppure allentato le maglie impalpabili e perciò indistruttibili della globalizzazione. Noi viventi in transito stiamo scrivendo un capitolo fondamentale di un grandioso romanzo: tutti insieme e interconnessi. Perciò dire che la globalizzazione è morta è una bufala globale.

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