C onte Giuseppe è un quissimile di politico contorsionista. Apparve all’improvviso materializzandosi come un coniglio che esce dal cappello di un illusionista. Doveva essere l’ennesimo sberleffo del comico del “vaffa” alle istituzioni. Nel parlamento sciamavano le torme dei suoi grilli eletti a valanga da un Paese momentaneamente narcotizzato. Mettendo un passante a governare l’Italia, voleva dimostrare che Uno vale Uno. Il Conte, invece, convinto che egli vale assai più di Uno, cominciò un’irresistibile scalata al potere. Governò sia con il diavolo leghista sia con l’angelo progressista. Poi si alleò con chiunque gli offrisse un salvagente. Scampò al naufragio elettorale della sinistra, tornò in parlamento da deputato, sfrattò dalla locanda Cinquestelle il Grillo che lo ospitava e ne divenne il padrone assoluto. La sua ambizione è tornare a Palazzo Chigi. Vuole farlo come proprietario terriero del Campo Largo dove, stando ai risultati di un sondaggio condotto sugli elettori di Pd, M5S, Avs, Azione, Iv e +Europa, vincerebbe le eventuali elezioni primarie con il 43 % di preferenze surclassando Elly Schlein (29%) e l’astro nascente Silvia Salis (28%). Fra i commenti dei grillini uno ce n’è che merita d’essere incorniciato: sarebbe stato prescelto perché «bello e buono». Ossia, secondo gli antichi Greci amanti della kalakagathìa, perché è un kalakagathòs. Senza offesa.

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