L a famiglia europea, quella dei 27 con la sigla Ue, sta affrontando la prova più dura dal giorno della sua nascita. Mai prima d’ora era stata chiamata a fare scelte decisive per sé e per altri. Finora veva vissuto con la spensieratezza di chi beneficia della patria potestà dello zio d’America, che assicura tutela in cambio di ubbidienza. Al nucleo dei Paesi promotori, spronati da interessi economici comuni, se n’erano aggiunti altri. Troppi e troppo attratti dalla speranza di trovarvi il benessere al quale anelavano. Le molte diversità degli associati le hanno impedito di diventare un soggetto politico. L’Europa dell’ideale, quella dei padri fondatori, è diventata un’Europa territoriale. Fino al paradosso della ricusazione delle proprie radici, che affondano nella comune civiltà greca, romana e cristiana. L’emergenza di una guerra alle porte di casa l’ha colta impreparata. Priva di un esercito, ha creduto di potere vincere la sfida non sul piano militare, bensì su quello dell’economia e della finanza dove è meglio attrezzata e più scaltra. Quale garante di questa Europa defedata da pandemia e guerra è emerso Mario Draghi, figura rassicurante per equilibrio e cursus honorum. È entrato come un enzima nell’organismo europeo ipertrofico. Enzima di Drago, proteina rigenerante. Salvo sorprese.

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