È terminata giovedì scorso l’orazione funebre, durata tre giorni, che la Rai ha dedicato a Pippo Baudo. Quando la nostra Tv di stato perde il senso della misura supera ogni limite: interruzione del programma in corso per dare la notizia, modifica del palinsesto della serata, occupazione pressoché totale dei telegiornali. Gli altri avvenimenti relegati a notizie brevi. Compresi quegli accadimenti di importanza planetaria che ci tengono con il fiato sospeso. Per tre giorni si sono susseguite trasmissioni torrenziali con rievocazioni, rimpianti e pianti di chi ha conosciuto, anche solo superficialmente, l’illustre defunto. La straziata lacrimazione della Tv pubblica è stata uno sproposito mediatico. Laudatori scriteriati, compresi alcuni suoi ex denigratori, hanno impugnato i turiboli bruciandovi più incenso che per la morte di un papa. Anche Baudo, a modo suo, è stato un papa, un pontefice. Anch’egli ha pontificato unendo terra e cielo, la gente comune e le personalità più eminenti del mondo politico, del cinema, delle arti, dello spettacolo. Nella sua agorà televisiva hanno passeggiato, mischiandosi, le diverse identità sociali del Paese. Ora, dopo l’elevazione a divinità e oggetto di culto, riportiamolo nella sua dimensione umana di personaggio dello spettacolo televisivo, elegante e di classe. Un grande fra gli ammiragli della flotta Rai. Non il più grande.

Tacitus

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