Tra pochi giorni, il 9 dicembre, ricorre un anniversario importante per la Sardegna, anche se riguarda un personaggio che è stato dimenticato, in primis dalle istituzioni, nonostante abbia fatto la storia dell’Isola: la scomparsa di Camillo Bellieni, fondatore insieme a Emilio Lussu, del Partito Sardo d’Azione. Uno strano destino si portò via nello stesso anno, il 1975, cinquant’anni fa, i due maggiori protagonisti di quella tumultuosa stagione di rinascita politica che nacque sul Carso, durante la Prima guerra mondiale, tra i fanti e gli ufficiali della Brigata Sassari, e poi trovò continuità nel Movimento dei combattenti prima e nel Psd’Az dopo.

Quelle di Lussu e Bellieni furono vite per certi versi parallele, almeno fino a un certo punto, anche se poi politicamente i due presero strade differenti: il primo sempre più convinto della necessità di far coincidere socialismo e sardismo, mentre il secondo più indirizzato verso un autonomismo etico ancorché non mai totalmente distante dal socialismo liberale. Fino appunto al giorno della morte, il 5 marzo 1975 per Lussu e il 9 dicembre dello stesso anno per Bellieni. Senza questi due padri del sardismo oggi non staremmo qui a parlare di autonomia, del popolo sardo e della coscienza di essere una nazione, magari abortita, come diceva appunto Bellieni, ma pur sempre una nazione.

Soprattutto perché quelle idee nacquero come risposta politica ed etica a una condizione di marginalità economica e culturale, che la Grande guerra mise finalmente in evidenza. E in questo orizzonte fu fondamentale il ruolo anche di un altro sardo, un intellettuale nuorese, fervido interventista prima del conflitto del 1915-18, che purtroppo non arrivò alla fine delle ostilità belliche: Attilio Deffenu. La diagnosi comune partiva dal fatto che la Sardegna soffriva gli effetti di un centralismo che ne ignorava la storia e ne ostacolava lo sviluppo. Per Bellieni l’autonomia era anzitutto un fatto morale. Nei suoi “Scritti Politici” ribadiva che «l’autonomia non sarà mai concessa se i Sardi non la sentiranno come un dovere verso la propria terra». L’autogoverno non poteva essere per lui una riforma dall’alto, bensì il frutto di una rigenerazione civile. La Sardegna è una «piccola patria morale», scriveva. Quindi prima di uno stato sardo, serviva maturare una coscienza collettiva per superare rassegnazione e subalternità.

Lussu accentuava la dimensione politica e democratica del suo sardismo. Nelle sue memorie il “Capitano” dei Dimonios ricordava che «l’autonomia non è un privilegio ma una necessità democratica»: un mezzo per contrastare le diseguaglianze sociali, combattere i poteri locali conservatori e modernizzare l’Isola.

Attilio Deffenu rappresentava invece la matrice sociale. La sua analisi anticipava temi decisivi per il futuro della Sardegna: il rapporto coloniale con lo Stato, il peso delle clientele, la necessità di una modernizzazione economica. E in questi passaggi sta anche la modernità di Bellieni, che con il socialista nuorese si trovava d’accordo sull’idea di costruire una regione più libera e in grado di superare i nodi strutturali. Proprio Bellieni, tra i primi a parlare di partito per incanalare le forze propulsive del Movimento combattentistico e a vedere i pericoli del fascismo e di alcuni personaggi che si avvicinarono al Psd’Az per poi virare verso le camicie nere, si fece portatore di istanze molto avanzate, che andavano dal rifiuto dell’assistenzialismo statale alla nascita di un sistema cooperativo fino alla necessità di un’autonomia amministrativa della Sardegna.

Una lezione quanto mai attuale oggi: Roma continua a elargire o a bloccare le risorse, a seconda dei Governi in auge, senza un confronto, un progetto o una visione complessiva che nasca dal riconoscimento di un’autonomia vera, basata sul territorio con le sue peculiarità, a iniziare dalla condizione di insularità. Lo scontro politico finisce spesso per annebbiare l’orizzonte e la lezione dei padri sardisti resta ancora in gran parte incompresa. Tanto più che l’autonomia viene ridotta a una semplice questione di denaro, trascurando il rispetto morale di un popolo: le scelte spettano a chi vive nel territorio su cui ricadono, a tutti i livelli, dai Comuni fino alla Regione. Solo così, con principi solidi e una prospettiva chiara, si costruisce uno sviluppo duraturo. Questa è vera autonomia.

Giuseppe Deiana

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