Un dispiacere per Trump dalla Corte “di destra”
Un parere di sei giudici supremi boccia l’invio della Guardia Nazionale a ChicagoIl presidente della Corte Suprema John Roberts, la giudice Elena Kagan e il giudice Brett Kavanaugh il 4 marzo 2025 (EPA/WIN MCNAMEE / POOL)
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Quando si parla di bilanciamento dei poteri nell’America di Trump e si arriva alla Corte suprema, è quasi un automatismo definirla “schierata a destra con una schiacciante maggioranza di 6 a 3”.
In effetti oggi nella più alta magistratura americana prevalgono nettamente le toghe nominate da presidenti repubblicani. Questo anche per un errore di calcolo della giudice Ruth Bader Ginsburg, toga liberal nominata nel 1993, durante la presidenza Clinton. Gravemente ammalata, non volle dimettersi durante il secondo mandato di Obama, forse nella speranza che a decidere sulla sua successione sarebbe stata Hillary Clinton come prima donna eletta alla Casa Bianca. Ma quelle presidenziali, come sappiamo, dissero qualcosa di diverso e alla Casa Bianca arrivò Donald Trump. E quando dopo anni di lotta Ruth Bader Ginsburg si spense - nel settembre del 2020, pochi mesi prima che alla Casa Bianca si installasse il democratico Joe Biden – The Donald ebbe la possibilità di rafforzare la maggioranza conservatrice della Corte, all’epoca ferma sul 5-4, nominando la giurista antiabortista Amy Coney Barrett.
Ma la Corte suprema non è una caserma né una sezione di partito, e ai giudici - la cui indipendenza è rafforzata dall’avere un incarico a vita - può capitare spesso di esprimersi in modo non prevedibile, o comunque non in linea con le previsioni più piattamente politiche.
È quanto è appena accaduto, come racconta la newsletter “Letters from an American” della storica Heather Cox Richardson, una sorta di diario quotidiano della politica statunitense scritta da un’osservatrice qualificatissima, fra l’altro in un inglese tanto accessibile quanto i temi che tratta sono significativi. In un accertamento preliminare, scrive Cox Richardson, sei giudici della Corte hanno bocciato la scelta di Trump di inviare la Guardia Nazionale nell’area di Chicago. È un’iniziativa che la Casa Bianca negli scorsi mesi aveva assunto più volte, mandando i militari in zone governate dai Democratici per mostrare all’opinione pubblica come servisse un intervento duro di un’amministrazione federale di destra per ristabilire l’ordine pubblico, messo in pericolo dalla debolezza delle amministrazioni locali liberal e progressiste. Ma il parere preliminare dei giudici – firmato il 23 dicembre, antivigilia di Natale – dà un importante dispiacere a The Donald. I giudici scrivono che la legge invocata dal presidente per inviare la Guardia Nazionale prevede che in prima battuta si faccia ricorso alle forze “regolari” e non a quella che potremmo definire la milizia territoriale, che può essere dispiegata solo in un secondo tempo qualora il presidente sia “incapace attraverso le forze regolari di far osservare le leggi degli Stati Uniti”. Ma le circostanze nelle quali un presidente può usare la forza militare contro cittadini americani sono “eccezionali”. E qui i giudici citano una legge del 1878, il “Posse Comitatus Act”, che proibisce il ricorso ai militari per rendere operante la legge “se non in casi e in circostante espressamente autorizzati dalla Costituzione o da un Atto del Congresso”. Quindi prima di far intervenire la Guardia Nazionale a Chicago, concludono i sei giudici, a Trump sarebbe servita l’autorità statutaria o costituzionale per far rispettare la legge attraverso le forze regolari e avrebbe dovuto ammettere di essere incapace di farlo. Da questo punto di vista “il Governo ha fallito nell’identificare una fonte di autorità che avrebbe consentito ai militari di rendere esecutiva la legge nell’Illinois”, visto che “il Presidente non ha invocato” una legge che “consenta un’eccezione al Posse Comitatus Act”.
