La Sardegna va alla riconquista di una autonomia perduta. O quantomeno incrostata. Ammuffita. Il processo è stato avviato lo scorso 11 settembre quando nel palazzo del Consiglio regionale si è insediata la commissione speciale sulla legge statutaria e sulle norme di attuazione che incida sulle materie di cui all’articolo 15 dello Statuto. «È un progetto ambizioso – averva detto nell’occcasione il presidente dell’organismo appena costituito, Piero Comandini incontrando i giornalisti – entro 24 mesi approveremo una legge statutaria rispondente alle esigenze della Sardegna che dia compiuta attuazione alla forma di governo della Regione».

Anche la commissione Autonomia è pronta a fare la sua parte. Lo dice senza mezzi termini oggi il suo presidente, Salvatore Corrias. Che parla non solo di Statuto, ma anche del nuovo assetto istituzionale che deriva dalla reintroduzione delle province e della spendita delle risorse finalizzate alla crescita.

Il presidente della prima commissione del Consiglio regionale Salvatore Corrias (Archivio Us)

«Questa è una legislatura costituente. È bene dirlo subito», esordisce il consigliere regionale del Pd. «Abbiamo tirato fuori dal cassetto il nostro Statuto, con la volontà di ridargli vigore. Emilio Lussu, che lo paragonava ad un cervo braccato dai cani, lo avrebbe voluto come quello siciliano, ovvero molto più autonomista, fin dalla sua prima redazione».

Onorevole Corrias, il gap sofferto dalla nostra isola, rispetto non solo alla Sicilia ma anche ad altre regioni a Statuto speciale, è però evidente. La Sardegna ha approvato solo 33 norme di attuazione, la Sicilia ne ha approvato 59, il Trentino Alto Adige addirittura 207.

«Nel tempo quel dettato originario – ricorda Corrias – è rimasto lettera morta, pur con il reiterato tentativo, a destra e a sinistra, di renderlo pienamente efficace, soprattutto sui temi, sempre attuali, dei trasporti, dell’energia, dell’istruzione, degli usi del territorio. Temi sui quali non siamo mai stati capaci di far valere la nostra specialità, nemmeno con le norme di attuazione dello Statuto».

Bisogna recuperare il tempo perduto.

«Noi ci stiamo riprovando, e credo che questa sia la volta buona. er questo, la Commissione Speciale per lo Statuto, opportunamente costituita, sta chiamando a raccolta tutte le forze vive della società. Anche la Prima Commissione è pronta a dare il proprio contributo istruttorio».

Sotto un altro profilo, credete molto nel ritorno delle Province. E lei è il padre della loro ricostituzione.

«Abbiamo sempre creduto nelle province, sin dalla passata Legislatura, quando abbiamo approvato la legge 7 del 2021, pienamente legittimata dalla Corte costituzionale. Sì, perché le province le prevede la Costituzione, in quanto presìdi della Repubblica. E io credo che non se ne debba fare a meno, e che debbano essere rappresentate da organi eletti direttamente dai cittadini».

La sede della Provincia Ogliastra a Lanusei (Archivio Us/Loi)

Non una scatola vuota ma un presidio insostituibile della pubblica amministrazione.

«Le province si occupano di scuole, di strade, di ambiente e di pianificazione territoriale. Fanno tutto ciò che i comuni, da soli, non possono fare. Le province sono la cinghia di trasmissione con la Regione, e serve farle funzionare, mettendo a correre le risorse, umane ed economiche, dentro un sistema che deve reggersi secondo l’ottica della mutualità. Per questo abbiamo scritto e approvato la legge sul Comparto unico, per questo crediamo che il Fondo unico per gli enti locali sia sempre più importante, soprattutto ora che lo Stato sta restituendo alla Regione ciò che deve. Noi abbiamo il dovere di coltivare questo percorso istituzionale. L’alternativa è lasciare il campo alla gramigna dello spopolamento».

Quali sinergie tra Regione e Province?

«La Regione ha bisogno delle Province, così come le Province hanno bisogno dei Comuni. E vale, con ogni evidenza, lo schema inverso. Non possiamo immaginare un sistema diverso, non oggi. Non possiamo credere che la democrazia poggi altrove le proprie fondamenta, nel tempo in cui l’Europa è entrata definitivamente nelle nostre case e nei nostri municipi, dalle politiche agricole a quelle sociali. È dentro questo scenario che dovrà esplicarsi al meglio la sinergia tra le istituzioni locali. Se non si parte da questi presupposti non si può programmare il futuro, e il futuro bisogna programmarlo partendo dai territori, ed è quanto si sta facendo, pur con molti ritardi, dovuti proprio ad un basso livello di sinergia istituzionale, che oggi, in tempi di Pnrr, serve tutta».

Ecco, le risorse. A partire dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

«Proprio il Pnrr, che è prossimo alla scadenza, è un esempio di quanto sia importante, ancorché difficile, gestire i processi amministrativi e addomesticare la burocrazia. Lì il sistema ha sempre fallito, non riuscendo a impegnare tutte le risorse disponibili: solo l’1%, sinora, dei Fondi di coesione della vecchia programmazione, è stato speso. Inaccettabile. Confido che sulla prossima programmazione si possa far meglio e più in fretta, a beneficio di cittadini e imprese, badando ad attivare meccanismi di equità, senza fare figli e figliastri».

Nella ripartizione dei fondi, parliamo ad esempio di quelli destinati alle province, esistono evidenti storture.

«Un esempio. Per le strade delle province vecchie e nuove, dove stanno finalmente arrivando le risorse (i fondi sono quelli per lo sviluppo e la coesione) si è fatto ricorso al parametro chilometrico. Credo sia giusto, ma non basta. Occorre evitare il rischio di fare parti uguali tra disuguali, avere una grande attenzione per tutto ciò che non è misurabile, e investire maggiori risorse nel sociale, a vantaggio, in quest’isola che invecchia e si spopola, soprattutto nei territori più deboli, dei vecchi che restano e dei giovani che vogliono ritornare».

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