San Martino, una cuffia refrigerante per salvare i capelli alle malate di tumore
Il San Martino di Oristano è il primo ospedale in Sardegna in cui viene utilizzata la cuffia che sfrutta la tecnica dell’ipotermia che rende i capelli meno sensibili agli effetti della chemioterapiaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
La perdita dei capelli dovuta alla chemioterapia è un colpo al cuore. Per le donne che già combattono una guerra impari con il tumore, vedere cadere le proprie ciocche è un’altra durissima mazzata, devastante vedere la propria immagine alterata. Addirittura in alcuni casi, la paura della perdita dei cappelli può portare anche alla decisione di non sottoporsi alla chemioterapia con rischi ulteriori per la salute. Per cercare di vincere almeno questo primo round con la malattia, nell’unità operativa di Oncologia-Ematologia dell’ospedale San Martino di Oristano per la prima volta in Sardegna viene utilizzata la cuffia chemioterapica. Si tratta di un casco refrigerante che viene indossato dalle donne in occasione della somministrazione della chemioterapia e permette di ridurre la probabilità di perdere i capelli.
Studi indipendenti, effettuati sia da ospedali pubblici che da centri di ricerca, hanno quantificato nel 68 per cento i casi di successo tra le donne che hanno usato il dispositivo per prevenire l’alopecia. Il casco refrigerante con la tecnica dell’ipotermia, cioè della bassa temperatura che restringe i vasi sanguigni, blocca i processi biochimici e rende i capelli meno sensibili alla chemioterapia limitando il rischio di caduta.
La Sardegna arriva con un ritardo di alcuni anni rispetto ad altri ospedali che dal 2017 si sono dotati di questo dispositivo con sistema di raffreddamento. Tanto è vero che molte donne sarde hanno deciso di spostarsi in altre regioni per effettuare una chemioterapia “protetta” dal casco. Per questo motivo, all’indomani del debutto del casco refrigerante al San Martino di Oristano, i sindacati (a iniziare da Fnp e dalla Cisl) lanciano un appello alla Regione affinché si adoperi per dotare di un caschetto refrigerato automatizzato tutte le oncologie ospedaliere e far rientrare l’apparecchiatura nel percorso assistenziale della patologia tumorale. In Sardegna sono circa 1500 le donne che ogni anno devono fare i conti con un tumore al seno, negli anni 2012-2017 è stata la causa principale di morte per oltre 2000 ammalate.
Il casco in uso al San Martino è stato acquistato dalla Lilt grazie al contributo economico della Regione, dell’azienda L'Orto di Eleonora, del Comune di Oristano e di altre imprese oristanesi oltre che di privati cittadini. Nei giorni scorsi il casco refrigerante è stato utilizzato per la prima volta come hanno annunciato con grande entusiasmo il direttore di Oncologia e Ematologica del San Martino Luigi Curreli, la presidente della Lilt di Oristano Eralda Licheri e la prima utente che ha scelto di sperimentare questo sistema. Con questo nuovo presidio, il primo assoluto in Sardegna, l’ospedale di Oristano ottiene grazie alla Lilt un nuovo strumento che porterà ad aumentare i servizi offerti alle donne che combattono contro il tumore. Luigi Curreli ritiene che “l’utilizzo della cuffia refrigerante sia un segnale importante di come i professionisti che operano nella struttura di Oncologia ed Ematologia e le associazioni di volontariato siano attenti e sensibili verso tutte le problematiche che riguardano il paziente oncologico”. A iniziare appunto dall'attenzione alla salvaguardia della immagine corporea, nonché a tutte le problematiche relazionali ad essa inevitabilmente connesse. “Come associazione di volontariato, siamo soddisfatti che finalmente la cuffia inizi ad essere usata – ha spiegato Eralda Licheri - Continua la nostra collaborazione con lo staff del reparto di Oncologia-Ematologia per potenziare i servizi offerti e aggiungere un minimo di sollievo alle donne colpite da neoplasia”.
La prima donna che ha usufruito dello speciale trattamento ha fatto sapere che “sebbene ogni persona malata reagisca in maniera soggettiva alle cure, la cuffia è stata sopportabilissima. Si sa che la cuffia non fa miracoli, ma ogni donna deve comunque avere una possibilità di scelta perché la serenità e, laddove sia possibile, l’autodeterminazione della paziente diventano fondamentali. Ecco perché ogni Asl dovrebbe avere almeno un macchinario che in Europa e nel nord Italia è usata da anni”.