Il regista Andrew Dominik ha definito il suo film: «La versione vietata della storia di Marilyn Monroe». “Blonde”, il biopic con Ana de Armas ispirato all’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates, sarà alla Mostra del Cinema di Venezia, ma non verrà distribuito nelle sale. È questa la prima produzione Netflix col bollino hard core vietata ai minori di 18 anni, perciò chi vorrà vederla potrà farlo dal divano di casa. Scene di stupro e altri «contenuti sessuali espliciti», questo il giudizio dei valutatori; ma più delle sequenze erotiche, ciò che di forte promette il film è il viaggio dentro l’anima fragile di Marilyn, nel groviglio di solitudine e ansia che ha segnato la sua vita.

Le ultime ore di vita

I sessant’anni dalla morte della diva di Hollywood vengono celebrati anche da un’altra produzione Netflix (uscita ad aprile) che indaga il mistero delle sue ultime ore di vita. “The Mystery of Marilyn Monroe: The Unheard Tapes”, di Emma Cooper, è un documentario che si snoda attraverso le interviste fatte dal giornalista investigativo Anthony Summers, che a metà degli anni Ottanta incontrò ben 650 persone della cerchia dell’attrice e scrisse poi una biografia, Goddess, pubblicata nel 1985. Il documentario smonta la versione ufficiale della morte di Marilyn Monroe, avvenuta nella notte tra il 4 e il 5 agosto del 1962. Una morte per suicidio o per overdose di farmaci, poiché, ha sottolineato la regista in diverse interviste: «Non ci sono prove che sia stata uccisa».

La messinscena dell’FBI

Ci sono, però, le prove che tanti dettagli dell’ultimo giorno di Marilyn sono stati insabbiati dall’FBI con un unico intento: cancellare i legami di lei con i fratelli Kennedy. Prove (in particolare i diari) che stavano dentro la camera da letto nella casa di Brentwood, a Los Angeles, (dove viveva da sola con la sua governante Eunice Murray), e perciò era necessario dare tempo agli agenti per un’accurata perquisizione. La versione ufficiale dice che Marilyn è stata trovata morta nella sua camera da letto dal dottor Ralph Greenson, il suo psichiatra, alle 3 e mezzo della mattina del 5 agosto. Nuda, riversa sul letto sfatto, la mano sul ricevitore del telefono, come si vede dalle fotografie scattate dalla polizia. Una messinscena, in realtà, visto che - racconta il docufilm di Emma Cooper - Marilyn è morta cinque ore prima su un’ambulanza che la stava portando in ospedale. Il suo corpo, dunque, è stato tenuto su quella lettiga fino a che gli uomini dell’FBI non hanno finito il loro lavoro. Nel frattempo, altro dettaglio importante, il procuratore generale Bobby Kennedy, fratello del presidente e ultimo amante della diva, aveva lasciato Los Angeles con un volo delle 2,30. Poche ore prima aveva incontrato Marilyn nella casa di lei. Un incontro tempestoso durante il quale le intimò di non chiamarlo più.

L’ultima stazione

Per Marilyn Monroe il 1962 era l’anno della consacrazione del successo ma anche quello della sua definitiva caduta. Dopo “Gli spostati”, di John Huston, le era stato consegnato il Golden Globe come migliore attrice, ma la sua vita privata andava a rotoli. A Hollywood si chiacchierava da tempo di una relazione clandestina con il presidente John Kennedy e del di lui fratello Robert, e intanto arrivava il divorzio dal terzo marito, il commediografo e romanziere Arthur Miller (che per lei aveva scritto la sceneggiatura di “Facciamo l’amore” e de “Gli spostati”). Sempre più fragile, cercava sostegno nell’alcol e nei farmaci. Anche al lavoro non era più l’attrice puntuale e disciplinata tanto amata dai registi. I vuoti di memoria, le crisi di pianto, i continui ritardi avevano già fatto dannare Billy Wilder nel ’59 sul set di “A qualcuno piace caldo”, ma diventarono praticamente insopportabili l’anno dopo durante la lavorazione di “Facciamo l’amore” e nel ’61 sul set de “Gli spostati”.

Il veleno di Hollywood

Marilyn era la diva che aveva denunciato il veleno instillato dalle luci di Hollywood, dove, diceva, «ti pagano mille dollari per un bacio e cinquanta centesimi per la tua anima».

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