Non mi pento di aver vissuto in Sardegna e di tornarci ogni volta che posso. La nostra Isola mi è stata molto ammaestrativa. Sono convinto che il folklore sardo racchiuda valori inestimabili per la mia arte. Si rapporta alle esigenze coloristiche delle correnti moderne e richiama una tavolozza ardita e smagliante”. Pensieri ad alta voce durante una passeggiata in Veneto e che, letti a distanza di anni, suonano come il manifesto dell’arte di Carlo Contini, oristanese, uno dei pittori più complessi e significativi del panorama artistico sardo e nazionale del XX secolo. A questo talento unico Oristano dedica la mostra “L’origine è la meta”, una retrospettiva con novanta opere per ripercorrerne la vita artistica a cinquant’anni dalla scomparsa (in realtà, calendario alla mano, l’anniversario sarebbe dovuto essere un anno fa, ma in piena pandemia è stato il Covid a dettare i tempi e si è stati costretti a rimandare le celebrazioni).

L’opera

Già in quella chiacchierata col collega Vincenzo Schivo, nell’autunno del 1948 in Veneto, Contini traccia chiaramente i pilastri della sua filosofia artistica. Riflettendo ad alta voce parla del suo amore per l’Isola, del folklore a cui attingerà poi a piene mani per le sue opere. E infatti già nel titolo della mostra “L’origine è la meta” è racchiuso questo legame con le sue radici, “una concomitanza di tradizione e attualità, dove le suggestioni etniche e le radici contengono come in un seme forme più vicine al sentire estetico del nostro tempo” fa notare Giuliano Serafini, curatore del catalogo e della mostra fortemente voluti dal Comune e dalla Fondazione Oristano, che hanno organizzato l’esposizione nella pinacoteca di via Sant’Antonio intitolata proprio a Carlo Contini (visitabile fino al 9 gennaio 2022, tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 20).

Il catalogo della mostra "L'origine è la meta"

L’artista

“Il pittore di Oristano ha saputo evolvere a livello creativo senza perdere mai di vista le proprie radici, il proprio atavismo, la propria identità morale e culturale di nativo del glorioso Giudicato di Eleonora d’Arborea” sottolinea Serafini, tra i massimi esperti di arte greca moderna e contemporanea, e grande conoscitore di Contini (si è già occupato della sua opera con una mostra a Oristano nel 1998 e una a Pistoia nel 2002). Contini è artista che “avanza” nel passato e conquista la propria modernità servendosi appunto delle forme, dei colori, della luce, ma anche delle passioni e degli umori ereditati dal patrimonio della sua terra. Se dunque l’obiettivo, la meta, è quanto ha alle sue spalle, Contini sa di poter contare su una guida sicura, su una lezione genetica che, tra gli anni Venti e Trenta, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma e un lungo soggiorno a Venezia, lo porta ad affrontare tematiche diverse. Ci sono le processioni religiose e i riti ancestrali e opere in cui il sentimento del sacro e del profano si fanno valori equivalenti come nella spettacolare Processione de Su Jesus o Confratelli rossi (1927) o in Allegoria Arborense (1933-37) della chiesa della Madonna della Grazie di Solarussa, uno dei più grandi esempi di pittura religiosa italiana del XX secolo. Introspezione psicologica e realismo spinto fino alla brutalità sono gli elementi chiave della produzione ritrattistica (L’ubriacone, 1930, Titino Sanna, 1945, Confratello verde, 1948). E in questo capitolo si inseriscono anche i suoi autoritratti del 1922 e 1925 e quello maturo del 1935.

Riproduzione dal catalogo "L'origine è la meta"

La mostra

Gli eterni ritorni dell’artista ad Oristano raccontano una vicenda creativa che, anche se aperta a influenze europee, non rinuncerà mai al rassicurante recinto degli affetti. Negli anni Trenta Contini insegna alla Scuola di Arti Applicate Francesco Ciusa e negli anni Cinquanta alla Scuola di Avviamento Professionale di Oristano. Nel 1949 sposa la pistoiese Dorotea Guarducci, da cui ha due figli, Valerio e Carla. A questo periodo risale un’altra sua grande passione: la ceramica. Contini insegna e frequenta i laboratori della scuola di ceramica diretta da Vincenzo Urbani, poi insegnerà all’istituto professionale d’arte: anche in queste opere a dominare sono i colori, il folklore, i riti sacri ma anche i temi del lavoro. Nel 1956 viene incaricato per realizzare una serie di grandi dipinti d’ispirazione storica e rurale per la Cantina della Vernaccia al Rimedio. Dipinti che campeggiano sulle bottiglie di Vernaccia che qust’anno la storica azienda vitivinicola oristanese ha dedicato a Contini.

Mostra e catalogo proseguono con opere come Ballo tondo (1950), Sa Sartiglia (1952) e Pariglia (1955). Ma sarà solo con Ritmi di giostra (1959), Pietà, (1963), Vestizione de Su Componidori (1965). Tra le prove più sentite di “Lelletto”, come veniva affettuosamente chiamato da familiari e amici ecco la Pietà (1959), Processione de Su Jesus (1960), Santulussurgiu (1962), Luci e ombre del Supramonte (1961), Santulussurgiu vicolo nord (1966), fino all’enigmatico La macchia (1963).

“Uno degli obiettivi che con mio fratello Valerio ci siamo posti era riportare babbo a casa, perché nonostante abbia girato il mondo questa era la sua casa” ha commentato la figlia Carla. E adesso Lelletto Contini è finalmente a casa sua, custodito nel cuore della sua città.

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