La vita difficile di Elly Schlein tra Giorgia Meloni e Silvia Salis
La leader dem sogna di essere la candidata del Campo largo alle Politiche del 2027 e da Montepulciano ha lanciato il messaggio. Ma le incognite sono moltissime e non tutte depongono a suo favorePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Ogni giorno gliene dicono una a Elly Schlein, la leader del Pd che dal 12 marzo 2023 si è ritrovata a guidare i democratici grazie a quei giovani che nel partito non hanno mai militato. E mai lo faranno. La stessa Elly, quando a dicembre 2022 venne candidata alla segreteria nazionale dal maggiorente Dario Franceschini, aveva già stracciato la tessera dem. Perché nella casa progressista non si sentiva più a suo agio. Adesso invece continua a battere il tasto della corsa a premier, alle Politiche del 2027, e da Montepulciano, dove pezzi di partito si sono autoconvocati e per tre giorni hanno discusso, ecco il tentativo di consacrarsi a candidata unica. Senza rivali.
Bisogna mettere insieme un po’ di tasselli per capire il quadro dem attuale e quindi anche quello passato. Intanto: Franceschini, noto nel partito per non aver mai perso un congresso, dopo un periodo di distanza da Schlein è tornato a sostenere con forza la sua creatura politica, tirata fuori dal cappello magico nel 2022 quando alle Primarie del 2023 sembrava giusto una formalità la vittoria di Stefano Bonaccini, allora governatore dell’Emilia Romagna. Invece arrivò la sorpresa: l’ex ministro della Cultura decise di puntare tutto su Schlein perché «rappresenta la sinistra moderna», disse convintamente, sino a portare a casa il risultato. Franceschini quelle parole le ha più o meno ripetute (e fatte ripetere ai fedelissimi, tra cui la moglie deputata come lui, Michela Di Biase) a Montepulciano, dove pezzi di partiti si sono autoconvocati. Ma con una novità: Franceschini, in vista delle future Politiche, ha deciso di unire le forze con le correnti di Andrea Orlando e di Roberto Speranza disegnando nel Pd un’area tutta nuova. A cui si sono avvicinati gli ex lettiani, il gruppo di Debora Serracchiani e quello di Gianni Cuperlo.
Ovvio che l’investitura di questi giorni, con due anni di anticipo sull’appuntamento elettorale, ha più o meno la stessa valenza di una promessa politica. Cioè si fa, anche in maniera solenne, ma da qui a mantenere l’impegno davvero ne passa. Anche perché i dem restano un partito diviso in talmente tante anime correntiste che un anno corrisponde a un’era geologica. Si aggiunga che Elly di nemici robusti ne ha pure all’esterno.
E proprio da qui bisogna partire per capire l’altra metà delle aspirazioni di Schlein. Intanto: tutti gli analisti politici sono stati concordi nel ritenere che Elly abbia giocato bene le proprie carte quando ha accettato l’invito ad Atreju, la manifestazione politica della destra giovanile fondata da Meloni nel 1998. Un sì arrivato a patto di potersi confrontare con la premier. Ma appena
l’organizzazione ha posto come condizione l’allargamento dell’ospitata anche a Giuseppe Conte, ecco il passo indietro di Elly, letto da tanti come un autogol. Per una ragione su tutte: i democratici che vogliono Elly premier, dimenticano un aspetto fondamentale: il Pd non solo non è autosufficiente ma Conte stesso aspira a fare il candidato di coalizione tra due anni. Così in una sfida infinita che, in casi come questi, il più delle volte, finisce con il terzo incoronato tra i due litiganti.
Nella fattispecie si tratta di un’altra donna, Silvia Salis, la sindaca di Genova, considerata capace di un appeal politico pari alla Meloni. In questo, Schlein è palesemente indietro. Elly non buca lo schermo: non lo fa né con la severità di Salis né con l’aggressività di Meloni. Elly troppe volte parla senza farsi capire, a differenze della prima cittadina e della premier, che hanno il dono della semplicità dialettica. Non è finita: Schlein resta nel centrosinistra ancora una figura troppo divisiva. Invece per battere questa destra a trazione femminile serve un nuovo messia. Donna o maschio che sia. E Schlein non ha questa aura. In più questi due anni da segretaria ne hanno in qualche modo logorato l’immagine.
Un’ultima riflessione: se Schlein fosse gradita a tutto il Pd, non ci sarebbe stata la necessità dell’autoconvocazione a Montepulciano, con la presunzione (diciamolo) di decidere in solitudine le sorti dell’intero Campo largo.
