La ex bambina di Chernobyl che vive a Lanusei per amore di un figlio
La storia di Maryna, donna bielorussa che da 38 anni ha scelto l’Ogliastra come seconda patriaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Aveva otto anni la bambina di Chernobyl quando, in fuga dal disastro nucleare, mise piede in Sardegna per la prima volta. Da allora, trent’anni a oggi, Maryna Korshun è tornata qui ogni estate (salvo quelle dell’epoca Covid) che Dio mandava in terra. E adesso Lanusei è la sua seconda patria.
«Sono passati trentotto anni». Aldo Masia, imprenditore, e la moglie Lisa Fadda, insegnante, sono i genitori italiani di quella bambina che oggi è diventata donna. E ora è ogliastrina di adozione per amore del figlio Daniil. Vuole garantirgli un futuro migliore di quello che avrebbe in Bielorussia. E allora lo ha portato con sé in Sardegna. Facendogli percorrere lo stesso itinerario che lei aveva intrapreso trent’anni fa. «Qui allora avevo trovato un altro mondo», racconta la donna, arrivata da Gomel, cento chilometri da Chernobyl. «Lo devo al coraggio di mia madre – racconta – nel farmi andare in un paese straniero mettendo in conto di non sentirmi a lungo. I miei hanno capito che qui in Italia potevo vedere un altro mondo». Diverso rispetto ai luoghi del cuore, quelli che si amano ma talvolta ti stanno stretti. E non ti permettono di spiegare le ali, prendere il volo. «In Bielorussia abitavamo nel bosco, in una caserma. Avevamo pochi soldi, mangiavamo cavoli. Soltanto se mia nonna uccideva il maiale si mangiava carne. Anche in conseguenza del disastro nucleare, era tutto contaminato. Allora papà e mamma decisero che ogni anno mi avrebbero mandato qui, a Lanusei. E Aldo Masia, il primo che mi ha accolto, si è assunto una grande responsabilità. “Una volta che ho preso questo impegno io non mollo”, ha sempre detto lui».
La laurea in psicologia e il dottorato nella stessa disciplina conseguiti in Bielorussia hanno aiutato Maryna nella sua esperienza italiana. «Lavoravo come psicologa. Con i bambini, con quelli malati di tumore. Facevo volontariato nell’associazione Funny nose, che si occupava dell’aiuto psicologico ai bambini oncologici e affetti da altre disabilità. Portavamo i fisioterapisti nei villaggi sperduti della Bielorussia, in particolare nella zona di Chernobyl. L’obiettivo era garantire un futuro ai bambini, a quelli che potevano essere curati ma non ne avevano la possibilità, perché i genitori erano o malati, o alcolisti, o senza soldi».
Nel corso della sua attività professionale ecco i primi legami di lavoro con l’Italia, sempre sull’onda dei viaggi fatti fin da bambina. «Ho collaborato con diverse organizzazioni italiane, ad esempio “Una mano per un sorriso-for Children” con la quale abbiamo realizzato il progetto Milesxsmiles nel villaggi della zona di Chernobyl e in una baraccopoli in Kenya. Dalla Bielorussia all’Africa con fatica, impegno, dedizione.
Esperienze che la hanno formata. Maryna adeesso è una madre felice anche per quel figlio che ora è un italiano vero, frequenta la scuola a Lanusei, è perfettamente inserito. Come la mamma, che lavora sodo, da assistente scolastica, da educatrice, da mediatrice culturale, ma non può ancora sfruttare appieno il patrimonio di conoscenza che le deriva dagli studi in Bielorussia. «Sto frequentando di nuovo l’università perché – spiega amaramente – non mi è stato convalidato alcun esame».
La sua vicenda personale ha fatto breccia nel cuore degli ogliastrini e non solo, auspice un video social nel quale lei stessa ripercorre la storia, il coraggio della scelta di lasciare il paese d’origine e scegliere l’Isola che l’aveva adottata fin da bambina per farvi crescere il figlio. Lei, sopravvissuta all’esplosione nucleare di Chernobyl. «Il trasferimento in Italia – racconta la donna – non è stato facile, dal punto di vista logistico, burocratico, economico, ma soprattutto psicologico. In tutte queste difficoltà sono stata fortunata ad aver supporto dalla mia famiglia italiana. Il legame creato nel corso degli anni mi ha permesso di avere un punto di riferimento importante per affrontare tutte queste difficoltà, ma anche di avere il tempo necessario per trovare una sistemazione, per non perdere la mia identità e per trovare un lavoro adeguato alle mie capacità».
Maryna Korshun sa di dover combattere ancora perché vivere lontani dalla propria terra non è mai semplice. Impone sfide da affrontare ogni giorno: la aiutano legami di amicizia con sue connazionali, con donne ucraine che vivono in Ogliastra, ma soprattutto l’affetto della comunità di Lanusei, per la quale Maryna è ormai una concittadina vera, «Questa lotta non è più soltanto per me e mio figlio – conclude – ma per la mia giusta collocazione nella società dove mi trovo. Vorrei che questa lotta diventasse un supporto e un esempio per tante altre donne che affrontano difficoltà legate alla migrazione, alla perdita della loro identità e dignità».