«Il mio cinema non esiste più. Mi scambiavano per Matteoli ma ho lavorato con Scola»
Sandro Ghiani da Carbonia era “il sardo” di cinepanettoni e commedie cultPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Risponde al telefono direttamente dal suo uliveto: «Sto potando le piante, ne ho trecento: varietà leccino, frantoio e ascolana. Qui a Bracciano ho sei ettari di terreno, con vigna e alberi da frutto», dice Sandro Ghiani da Carbonia. «Da Caput Acquas per essere precisi», corregge subito lui, uno degli ultimi caratteristi del grande schermo italiano, quello che nei cinepanettoni e nelle commedie cult era «il sardo», con le doppie fuori posto e l’aria stralunata. Nella filmografia non ha solo titoli allegri e un po’ scollacciati (Strumtruppen, Io zombo tu zombi lei zomba, Liquirizia) ma pure qualche pellicola di genere drammatico come Passione d’amore di Scola e Ultrà di Tognazzi, fino a qualche perla come Un sacco bello. Indimenticabile in Professione vacanze e I ragazzi della 3ª C, serie tv degli anni Ottanta che ancora oggi vanno in replica nelle mattinate estive.
Quando ha cominciato a recitare?
«In seminario. Il titolo della prima commedia che ho interpretato era Timiducci e Franconi».
Come era finito in seminario?
«Subito dopo la morte di mio babbo, avevo tredici anni: da Carbonia mi ero trasferito a Selargius. Poi dopo due anni sono finito a Tortona e il direttore del santuario, una persona stupenda, mi ha inserito nel gruppo di teatro oratoriale. Dopo sono andato a fare il militare e ho conosciuto diverse persone che mi hanno indicato la strada per arrivare al cinema».
Primo film: Sturmtruppen con Cochi e Renato e Corinne Cléry.
«La mia faccia piaceva molto. In quel periodo non si facevano neanche i provini, i registi ti ingaggiavano dopo averti visto per qualche minuto: erano bravissimi a valutarti. Poi ho fatto i film più famosi, quelli con Verdone e Pozzetto. E sono diventato “il sardo”».
Sandro Ghiani (foto Rais)
Caratterista a vita.
«Ho fatto quello che sapevo fare: il timido. Ai registi piaceva, a me andava bene. Allora si facevano 300 film all’anno».
Quel cinema non esiste più.
«Io ho vissuto un periodo molto bello, sono stato fortunato. Mi hanno offerto una parte anche la settimana scorsa in un film che cominceranno a girare tra poco, ma non me la sono sentita. Se arriva un bravo regista e la sceneggiatura mi piace, ci penso. Altrimenti mi godo la pensione».
A proposito: molti attori di seconda fila hanno assegni da fame.
«In quegli anni ti pagavano bene ma magari non versavano i contributi. C’erano pochi controlli. Io ero molto attento: avevo il mio libretto e andavo in produzione per farmi mettere tutti i timbri».
Ha lavorato con tanti registi: chi le ha lasciato di più il segno?
«Ettore Scola. Almeno sotto il profilo umano. Dal punto di vista professionale Nino Manfredi, mi ha insegnato tante cose».
Un tempo quelli in cui recitava lei si chiamavano B movie: le dà fastidio questa definizione un po’ snob?
«Se guardo cosa si produce adesso… vorrei vendere il televisore. Non riesco più a vedere i film di oggi, mi accendo solo quando ci sono i Bellissimi su Rete 4».
Girano meno soldi, forse il problema è quello.
«Mancano i soldi e pure i soggetti, i registi. Oggi chi dirige è un dipendente delle case di produzione, quando si fanno i casting si guarda solo il “minutaggio”, cioè quante volte una persona è già andata in onda in altri programmi. Si cerca la faccia conosciuta».
“E benvenuti a sti fro…”. Lei è al fianco di Lino Banfi nella scena cult di Fracchia la belva umana: oggi si potrebbero fare film del genere?
«Il politicamente corretto ci limita. Ora non si può più dire nulla. Quello spezzone gira ancora sui social e su whatsapp, pensi che per strada mi chiamano ancora De Simone».
L’attrice più bella.
«Difficile dirlo. Io ho sempre preferito Laura Antonelli: mi piaceva più delle altre. Anche Eleonora Giorgi, bellissima: mi aveva preso in simpatia».
Con chi è rimasto in contatto?
«Ci sentiamo spesso con Lino Banfi, mi invita a pranzo nella sua orecchietteria. È buono, generoso, ho fatto diversi film con lui. Nel 2008 quando abbiamo girato il commissario Zagaria abbiamo rinsaldato l’amicizia».
Qual è il film in cui avrebbe voluto recitare?
«Il nome della rosa. Avevo fatto la pubblicità della Lemonsoda con Jean Jacque Annaud: cercava qualcuno per il ruolo di Salvatore e chiamò me e Franco Franchi. Poi però gli imposero un altro attore inglese».
Il film di cui va più orgoglioso.
«Non saprei. Ce ne sono tanti. Mi piace ricordare Professione vacanze: va in onda ogni estate da 36 anni, un record».
La sua famiglia in Sardegna.
«Ci torno spesso: a Iglesias vive mia sorella, gli altri tre fratelli a Carbonia».
A fine maggio sarà nell’Isola per presentare il suo libro “Il primo autografo non si scorda mai”. Qual è stato il suo?
«Non ero ancora conosciutissimo. Un giorno ero seduto in un bar e il cameriere si è avvicinato. Avevo i capelli ricci e neri, l’accento sardo. Pensava fossi Matteoli, il calciatore. E mi ha chiesto un autografo».
E lei?
«Ho firmato: Gianfranco Matteoli».