Sono tre le esperienze germogliate in Sardegna dall’ispirazione di Don Franco Monterubbianesi, il fondatore della Comunità di Capodarco (a Fermo, nelle Marche), recentemente scomparso all’età di 94 anni. Oltre alla Comunità di Sestu, nata nel 1972, la spinta comunitaria aveva consentito la creazione di gruppi a Oristano e Carbonia.

A ricordare il sacerdote deceduto nei giorni scorsi è Dionisio Pinna, 82 anni, tra i fondatori della Comunità di Sestu, uno dei gruppi più longevi nel mondo del volontariato contro l’emarginazione, sulle disabilità e nelle tematiche del pacifismo e della non violenza. A 24 anni, al terzo anno di università, fu il primo volontario a seguire con entusiasmo il prete sognatore, lasciando tutto per trasferirsi stabilmente nelle colline del Fermano, in una grande villa dove poi venne creata la comunità di Capodarco.

“Perché a 24 anni, terzo anno d’Università, madre vedova di guerra con un altro figlio lontano da casa, ho lasciato tutto e sono andato a vivere stabilmente a Capodarco di Fermo nella nata due anni prima (Natale 1966) Comunità Casa Papa Giovanni? Sono stato il primo volontario (allora si usava questo termine) ad affiancarsi a don Franco per condividere quel progetto “rivoluzionario” che restituiva dignità e futuro a tante persone in precedenza assimilabili ai paria indiani. A Roma, da buon cattolico impegnato in parrocchia, frequentavo di domenica gli istituti di ricovero per mettermi a posto la coscienza; ma seguivo anche i fermenti di una minoranza cattolica che intendeva coniugare impegno politico e militanza religiosa. Andavo persino all’Acquedotto Felice dove don Sardelli viveva con i baraccati del tempo. Non ero soddisfatto della vita che conducevo e ben presto iniziai ad interessarmi dei mali di Roma e delle lotte operaie che rivendicavano diritti e dignità per il mondo del lavoro.

Andai a Capodarco perché una giovane emiplegica ricoverata al don Guanella di via della Nocetta non voleva stare in quel posto come un vegetale e cercava un’alternativa. Una damina di carità unitalsiana mi parlò di un prete fermano che aveva aperto una comunità provvisoria per disabili e che intendeva realizzare un villaggio dalle parti di Loreto. Una domenica, in autostop, vi andai. Fu un colpo di fulmine. Capii subito che in quella villa adagiata sopra una collina fermana ero atteso e che don Franco mi offriva l’occasione della mia vita.

Un prete anomalo, entusiasta, circondato da una sorta di corte dei miracoli, forte di una spiritualità non clericale che metteva al centro la persona con tutte le sue problematicità. E con un progetto straordinario: restituire dignità e speranza a chiunque la cui vita non era stata benigna. Era sempre pronto a sostenere, assistere, incoraggiare, dare risposte a chiunque gli chiedesse sostegno. Mai stanco, infaticabile, tollerante, disponibile all’ascolto. E c’era tanto da fare, in quella casa dove sembrava che non ci fossero limiti alle accoglienze. Quel prete aveva una visione, un sogno, un’idea di mondo che sapeva sorreggere l’ultimo dei derelitti e nel contempo guardare alle grandi questioni del tempo.

Da lui ho imparato ad avere coraggio, a non fermarmi mai difronte ai problemi del quotidiano. E ho anche avuto la fortuna di accogliere il suo affettuoso suggerimento: riprendere gli studi non in campo aziendale ma nelle discipline socio-umanistiche che lui riteneva per me più congeniali. Non ho conosciuto mio padre morto prima che nascessi. Chissà se don Franco, in qualche modo, lo ha sostituito. E chissà se, inconsciamente l’ho trovato perché mi mancava”.

“Quando ‘occupammo’ la casa di via Roma 14 a Sestu (piccolo centro agricolo alle porte di Cagliari), il 24 giugno 1972, per tentare di vedere se riuscivamo a stare insieme, eravamo forti dell’esperienza di Capodarco di Fermo (nella Marche), la prima comunità in Italia che cercava di offrire a persone con disabilità un’alternativa alla vita di istituto o all’isolamento in famiglia. Il nostro gruppo aveva una grande aspirazione: camminare con le proprie forze. Che voleva dire mettere in comune tutte le risorse e provare a realizzare un’esperienza dove ogni persona non fosse caratterizzata dalla sua condizione fisica, psichica o mentale. I primi anni furono difficili ma altamente formativi. Mantenemmo la nostra porta aperta e tanta gente vi entrò con tutto il carico di problemi e di aspirazioni…

Quella di Sestu è una comunità associata alle realtà di Capodarco in Italia, nata nel giugno del 1972. E’ una sorta di famiglia allargata che realizza un modello di convivenza ispirato alla cosiddetta semplicità volontaria.

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