Tutti lo conoscevano come Cristiano. Chi passava in via dei Giudicati, a Cagliari, non poteva non accorgersi di quella presenza, discreta e mai invadente. Chiedeva una moneta o una sigaretta, senza mai insistere. Capelli lunghi e barba folta, aveva uno sguardo penetrante che raccontava tanto. Purtroppo di Cristiano Picciau, 51 anni, bisogna parlare al passato perché domenica 7 maggio è stato trovato senza via in via Liguria. Il suo corpo, senza segni di violenza, era tra le aiuole. Non era un clochard o un senzatetto, hanno voluto ribadire più volte i familiari: abitava a Elmas con gli anziani genitori. Ma aveva deciso di vivere soprattutto in strada, andando avanti con un problema di dipendenza (i parenti l’hanno definita “mondo malato”). Una sua scelta: ed è stato impossibile fargli cambiare strada nonostante la vicinanza dei familiari e dei tanti amici. La sua morte ha scosso la città. Aprendo un dibattito anche sui tanti, troppi, “invisibili” che ogni giorno incrociamo per strada facendo finta di niente o senza cogliere una richiesta d’aiuto o semplicemente di attenzione.

Il dolore “social”

Forse Cristiano era solo. O forse no. Soltanto lui poteva sapere il suo stato d’animo e la battaglia interiore che stava vivendo. Ma che in tanti conoscessero e, a loro modo, volessero bene a quell’uomo spesso misterioso è diventato chiaro sui social. La notizia della sua morte – la causa è diventata secondaria, anzi del tutto inutile davanti al dolore della scomparsa del 51enne – è stata commentata da tantissime persone, invadendo Facebook e le bacheche di migliaia e migliaia di persone. Da chi lo conosceva da ragazzino, per arrivare a chi lo vedeva sempre al semaforo tra via dei Giudicati e viale Ciusa.

I messaggi

«Ciao Cristiano», scrive Gianni, «il tuo sguardo, i tuoi occhi meravigliosi, le tue paure, la tua timidezza. Riposa in pace. Sei stato per anni un punto fisso di quell’incrocio, sempre con garbo ed educazione a chiedere qualche spicciolo. Scusami se qualche volta non è stato possibile». Sergio spiega: «Ciao Cristiano, nessuno di noi ha il diritto di giudicare le tue scelte. Ma ricorderò di te il grande rispetto che hai sempre avuto nei nostri confronti». C’è chi ammette di non aver mai saputo il suo nome, come Isabella. «Non conoscevo il suo nome fino a stamattina. A dargliene uno, insieme a un po’ di dignità, è stata sua cugina, volendo lasciare un ricordo a tutta la città. Cristiano era molto alto e aveva gli occhi azzurri. Ho spesso pensato fosse straniero. Lo era, in un certo senso. Straniero a casa sua, straniero del mondo, straniero del suo corpo, straniero, suo malgrado, della sua mente. Non ci sono colpevoli o carnefici, oltre giudizi ed etichette, le sue mani sporte per una moneta o un saluto mancheranno al traffico fermo in via dei Giudicati. I suoi disperati sorrisi e le parole urlate senza senso mancheranno a una Cagliari nel pieno della settimana lavorativa. Non c’è posto per tutti, anche se ci piace dirlo e sentircelo dire. Buon viaggio, Cristiano, spero tu ora possa trovare un posto caldo per riposare».

La cantante Claudia Aru non nasconde la sua tristezza: «Mi ha sempre colpito la sua discrezione e la sua bellezza. Se ne va un uomo gentile ma, inequivocabilmente, sofferente. Sarà strano non vederlo più in quel semaforo dove mai ci siamo negati un sorriso e dove era per me spontaneo cercare una moneta. Dev’essere terribile morire soli. Spero che la sua prossima vita sia meno dura. Buon viaggio». Nicola ricorda: «Ha fatto una scelta di vita "diversa" mal vista dai più. Forse le istituzioni dovevano impegnarsi di più per lui». E ancora. «Aveva scelto d fare quella vita. Ha sempre rispettato tutti, non faceva niente di male. Aveva una casa, una famiglia ma lui ha scelto la libertà», ribadisce Patrizia.

La foto

E così Cagliari piange quell’uomo misterioso, conosciuto da tanti senza che lui, probabilmente, si sia mai accorto di essere un simbolo della città. E lo scatto del fotografo Stefano Marras, in poche ore, ha riempito le pagine dei social: lo sguardo di Cristiano che racconta più di mille parole.

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