Grandi poteri implicano grandi responsabilità. Parola dell'Uomo Cragno, al secolo Alessio Cragno, numero uno del Cagliari col 28 sulla schiena. In un mondo normale, domenica si sarebbe parlato solo del suo miracolo su Quagliarella. Invece, nel mirino è finito lo scambio di battute, sul campo e via social, col bomber doriano, dopo il rigore realizzato. «Cose che succedono, nessun rancore e andiamo avanti». È un ragazzo tranquillo e questo equilibrio lo ha aiutato a uscire vivo dalla tempesta zemaniana e conquistarsi la porta del Cagliari e le chiamate azzurre.

Cragno, partiamo però da quell'intervento su Quagliarella. Tiro a botta sicura e miracolo: la parata da sogno?

«Un intervento spettacolare, certo. Ma la parata da sogno è quella in volo, con la mano di richiamo sotto l'incrocio. Come quella, sempre con la Samp, all'andata su Ramirez. Magari era un tiro centrale, non proprio impossibile. Ma nei miei sogni di bambino, andavo a volare proprio così».

A proposito, ricorda la sua prima volta tra i pali?

«Mi ero appena iscritto a scuola calcio e il bambino che doveva fare il portiere si era ammalato. Ero l'ultimo arrivato, mi chiesero se volessi andare in porta. Videro che non avevo paura a buttarmi e che parare mi riusciva abbastanza bene. Quei guanti non li ho più tolti».

L'inizio di un percorso che l'ha portata a Cagliari. Questo è il quinto anno, come è cambiato il rapporto con la città?

«A 20 anni facevo campo, cena con i compagni e casa. Ora la vivo maggiormente, ho una fidanzata cagliaritana (Silvia, con richiesta di matrimonio accettata) e un cane. Mi sento parte di questa città. Un legame fortissimo, una bellissima sorpresa».

Pensava a Cagliari come una tappa di passaggio?

«Niente affatto. Arrivavo con una sola stagione in B alle spalle. Era un punto di arrivo e di partenza, dovevo dimostrare di poter giocare a Cagliari e in Serie A. E anche ora la vivo come una tappa fondamentale della mia carriera, devo dare il massimo».

Dopo i prestiti a Lanciano e Benevento, ha mai pensato che il suo futuro dovesse essere lontano da qui?

«Mai. Perché sentivo la fiducia della società e del presidente Giulini. Dovevo andar fuori per dimostrare di poter essere il portiere del Cagliari. E ringrazio il Lanciano e il Benevento, dove ho vissuto momenti fantastici».

Oggi Cragno è una certezza.

«Ho sempre pensato a concentrarmi sul lavoro e per questo un ringraziamento speciale va a David Dei, il preparatore dei portieri che già mi aveva avuto nei primi sei mesi di B. Grazie a lui e al lavoro sono riuscito a migliorarmi in tutto, specie nella consapevolezza dei miei mezzi».

Domani c'è Cagliari-Inter e le voci di mercato danno, guarda caso, Cragno nel mirino dei nerazzurri.

«Ora penso solo al Cagliari, del resto non mi interessa. Prima vengono la salvezza e i miglioramenti, personalmente e come squadra. Poi si vedrà».

Temete più l'Inter o le possibili conseguenze delle polemiche arbitrali post Firenze?

«Dobbiamo temere solo noi stessi. Giochiamo contro un avversario forte e ricco di campioni, ma quando il Cagliari fa il Cagliari, con l'atteggiamento giusto, non deve temere nessuno».

Qual è il miglior Cagliari possibile?

«Penso ai primi 40' contro il Parma, tutto cattiveria e aiuto reciproco. Un bellissimo segnale dopo un momento difficile. E ancora il primo tempo contro il Milan, all'andata, e in generale il Cagliari della prima parte di stagione. Sempre compatti e uniti. Solo così possiamo salvarci».

Nonostante le assenze, si può vedere ancora quel Cagliari?

«Lo vedrete fino alla fine. E le assenze non devono essere un alibi. Chi c'è c'è, l'importante è avere tutti lo stesso atteggiamento per centrare l'obiettivo».

La Nazionale?

«Non dipende solo da me, c'è un selezionatore che decide. Io intanto penso a migliorare. Siamo un gruppo di portieri affiatato che lavora bene col mister Brambilla. Se poi arrivasse anche la Nazionale non potrei che esser felice».

Cosa ruberebbe ai suoi "rivali" Donnarumma e Sirigu?

«Se potessimo fare un mix con la forza fisica di Donnarumma e l'esperienza e l'attenzione nei particolari di Sirigu, uscirebbe il portiere perfetto».

Tipo Buffon?

«Non so se la perfezione esiste, ma Buffon gli si avvicina tanto».

Guardare avanti o indietro?

«Ho imparato che il passato non conta, se non per le statistiche. Non mi interessa rivedere una bella parata, meglio soffermarmi su eventuali errori, sui dettagli da correggere».

Tornasse a quel giorno alla scuola calcio, si rimetterebbe i guanti?

«Esser portieri vuol dire assumersi grandi responsabilità. È il ruolo più bello e difficile, perché il tuo aiuto alla squadra è meno visibile di altri. E sì, i guanti me li rimetterei. Anche perché questa è l'unica cosa che so fare».

Alberto Masu

© Riproduzione riservata