Piero Marras si è raccontato prima del concerto di martedì sera in piazza del Carmine a Cagliari per i 40 anni di carriera.

«Quando ero piccolo giocavo sempre da solo. I miei fratelli erano troppo più grandi di me, non era possibile divertirsi assieme. Avevo però una chitarra e un pianoforte, con loro non mi annoiavo mai». E così, a colorare questo piccolo universo infantile, c'era sempre lei , la musica, che permetteva ad un bimbo, al tempo balbuziente, di esprimere con facilità le proprie emozioni e di affrontare la vita con maggiore serenità. Oggi Pietro Salis, per tutti Piero Marras, cantautore nuorese, festeggia i quarant'anni di carriera e ripensa al passato con il sorriso. «Questo è un mestiere che si impara sul campo. Quello che mi resta di questi anni è una crescita costante, che non si ferma mai».

Che cosa le ha dato la musica?

«Mi ha dato tutto. Mi ha permesso di vivere, esprimermi e autodeterminarmi. Nonostante le difficoltà dell'inizio, sono riuscito a fare della mia passione un lavoro. Questo mi rende felice».

Qual è stato il momento più emozionante della sua carriera?

«Ce ne sono stati molti, difficile scegliere. Ricordo quando cantai con Dionne Warwick, davanti a Papa Giovanni Paolo II. Suonai in mondovisione. Nella sala Nervi, in Vaticano, c'erano ottomila persone. In quell'occasione mi sono piaciuto molto. E questo accade raramente».

Quali sono gli artisti che stima di più?

«Io vengo un po' dalla West Coast. A parte Dylan, che reputo sempre il più grande, ho sempre ascoltato musica un po' particolare. C'è un trio che ha alimentato le mie serate e si chiama Peter, Paul and Mary, facevano un country raffinato che apprezzavo particolarmente. In Italia non sento molte cose che mi piacciono, gli artisti sono bravi ma troppo legati al mondo del business e non hanno la libertà di esprimersi in toto».

C'è un brano cui si sente più legato?

«Mi piace sottolineare come nel Figlio del Re . dall'album Fuori campo , 1978, sul finire del brano, ci sia una frase, scritta 40 anni fa, che mi fa pensare al Papa di oggi, Francesco. Dice: "Prenderò la tua speranza, vecchio servo. Ne farò la mia allegria"».

Quanto è forte il suo legame con la Sardegna?

«Tanto. Non ho avuto la fortuna di parlare il sardo quotidianamente e questo codice mi è mancato, così l'ho imparato pian piano e con testardaggine. Quando ho deciso di scrivere anche in limba è stato un momento meraviglioso, quasi una rivoluzione, perché in tanti poi hanno emulato questa mia scelta».

Ha composto canzoni sia in sardo che in italiano. A quale dei due mondi linguistici si sente più vicino?

«Noi abbiamo una grande ricchezza: il bilinguismo. Queste due lingue appartengono a mondi distinti e l'artista dovrebbe essere in grado di fare una sintesi tra i due. Amo scrivere sia in sardo che in italiano, quindi cerco di rendere giustizia ad entrambi».

Professionalmente parlando, come si definisce?

«Io sono presuntuoso, mi definisco un artista. Il termine cantautore sarebbe restrittivo, è un neologismo che non mi piace più e forse non mi è mai piaciuto. Un testo va maturato, sofferto, pensato e poi scritto e limato. Poi c'è la musica che deve raccontare il testo. Io insomma credo molto nella canzone come forma d'arte, se vuoi che una cosa rimanga la devi soffrire. Se la soffri, poi, gli anni non contano, non è mai vecchia».

Oggi si parla tanto di continuità territoriale, ma per lei non è un tema nuovo.

«Assolutamente no. È strano che una canzone del 1980 come Caro Caronte , che dovrebbe essere datata, sia invece più attuale che mai. Per noi sardi viaggiare è una pena continua, dovremmo imparare a capire che cosa significa autodeterminarsi e far sentire di più la nostra voce. Dobbiamo essere un popolo unito, dobbiamo essere sardi».

Ha vissuto un'esperienza politica con il Psd'Az. Che fine hanno fatto i suoi ideali?

«Ci sono sempre, è il resto che si è mosso. Sono profondamente sardista ma non nel senso vetero. Credo che oggi sia necessario partire dall'identità e farsi sentire anche in ambito europeo, perché il localismo oggi è un valore, non è più come prima. Siamo una terra con grandi potenzialità, da scoprire. Io credo in questo scoglio . Sono fiero di esserci nato e spero di morirci».

In vista del grande traguardo dei suoi quarant'anni di carriera artistica, Cagliari accoglierà, in piazza del Carmine, un suo concerto.

«Mi ha fatto molto piacere questa sensibilità del Comune di Cagliari, che io ringrazio pubblicamente. Sarà un bel concerto, c'è una bella energia e non vedo l'ora di suonare in questa città che io adoro».

Veronica Fadda

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