Giusto ultimamente, la regista e sceneggiatrice americana Sofia Coppola - figlia dell’ancor più noto regista italoamericano Francis Ford Coppola - ha incantato il pubblico alla 80esima Mostra internazionale del cinema di Venezia col suo “Priscilla”. Il film biografico e sentimentale uscito lo scorso novembre - che può vantare nel cast anche Jacob Elordi, star della serie televisiva ”Euphoria” - s’ispira alla figura controversa di Priscilla Presley, moglie del leggendario Elvis Presley, a cui dobbiamo la raccolta delle memorie scritte insieme a Sandra Harmon dal titolo “Elvis and me” che son servite come base per la storia qui raccontata.

Cercando di far luce sulle complesse problematiche relazionali di cui ha sofferto la coppia - emerse fra le altre cose per via della distanza anagrafica e i continui tradimenti mossi dal divo a danno della moglie - “Priscilla” è stato accolto entusiasticamente dalla critica, merito della sua capacità di raccontare il vissuto dei protagonisti da un’angolazione non comune, che lascia emergere la costante lotta fra lo spettro del business disfunzionale e il mantenimento della propria integrità personale.

Ma sappiamo bene quanto anche in passato la regista abbia saputo conquistarsi un degno consenso, maturando col tempo una schiera inossidabile di cultori del suo cinema. Stiamo parlando, non a caso, di colei che ha dato vita alla meglio nota “Trilogia sulla giovinezza inquieta”, che occupa i primi tre titoli della sua filmografia con “Il giardino delle vergini suicide”, “Lost in translation - l’amore tradotto” - valendole l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale - e “Marie Antoinette”. Già dalle prime opere si può cogliere una gran varietà di competenze, che dalla recitazione al design trovano particolare sbocco nel campo della moda e arricchiscono le produzioni di un inconfondibile taglio estetico.

Ma pur mantenendo il più delle volte un basso profilo pubblico, la regista non ha mancato in passato di far valere le proprie posizioni. E proprio di recente ha voluto esprime alcune considerazioni in materia di etica del lavoro, sostenendo quanta enorme differenza esista ancora oggi nel budget di cui può disporre per la realizzazione dei suoi progetti rispetto ai registi uomini.

Anche per “Priscilla”, la director è stata costretta a raccogliere i fondi necessari con ogni mezzo possibile, pensando addirittura di mettere all’asta una partita a pickleball con Jacob Elordi. Durante un’intervista concessa alla BBC, ha dichiarato: «Vedo tutti i registi uomini ottenere centinaia di milioni di dollari mentre io lotto per ottenere anche solo una piccola frazione di quella cifra. Penso che sia solo una conseguenza della cultura del settore. È frustrante, ma lotto costantemente per questo e sono felice di poter fare i miei film in modo indipendente e di trovare persone che credono nel mio lavoro».

Per quanto la faccenda sia ingiusta non manca tuttavia di alcuni aspetti positivi, come il fatto di non dover affrontare le pressioni dei dirigenti: «C'è una sfida e una libertà nel fare le cose in piccolo, perché se hai un grosso budget, hai un sacco di input da parte dei dirigenti degli studios, e io non sarei mai in grado di fare un film del genere. Quindi ho questa libertà si, ma è stato comunque molto difficile girare “Priscilla” anche se per fortuna sono stata affiancata dal migliore dei team». Nonostante la Coppola abbia dovuto gestire difficoltà come queste, “Priscilla” ha conquistato Venezia con una standing ovation di oltre 7 minuti. Un feedback sorprendente considerando i soli trenta giorni di riprese, girate interamente in formato digitale per rimanere al passo con le tempistiche. Per ciò che riguarda l’assenza dei brani originali di Elvis, la regista s’è espressa tempo fa al The Hollywood Reporter affermando di aver chiesto all’Elvis Presley Enterprises la cessione dei diritti, ma ricevendo dal collettivo un esito non sperato. Per risolvere il problema si è scelto d’inserire le cover di alcuni brani iconici di Elvis realizzati dal gruppo musicale Phoenix. Su questo aspetto, ha anche detto: "Non apprezzano progetti a cui non hanno collaborato fin dalle fasi di sviluppo e sono protettivi nei confronti del proprio brand. Ma ci hanno obbligato a essere più creativi".

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