«Non sono mai stato uno studente modello, anzi, ho ripetuto la seconda! Ho sempre trovato il modo di andare avanti e accrescere personalità e amicizie. La svolta è stata la quarta, con l’anno negli Stati Uniti. Quella esperienza mi ha permesso di pensare in grande».

Matteo Argiolas, 36 anni, vive da otto a Bangkok. La Sardegna è nel cuore, ma il lavoro parla thai: “giovane”, parola di uso da noi, direttore di un'azienda fintech, mix di tecnologica e finanziaria. «La mia esperienza abbraccia diversi ambiti, tra cui marketing, prodotto, commerciale, legale e strategia» racconta. La scintilla non scatta solo dagli Usa ma anche da un cugino ispiratore e dai viaggi con la famiglia in Europa in camper. La specialistica in Svezia, poi, è trampolino.

La partenza
Gennaio 2016, l’aereo punta verso est, i rientri sono una o due volte l’anno e c’è la nuova vita in Thailandia: «Ricordo il risveglio a Bangkok. La mia mente non aveva ancora digerito di essere dall’altra parte del mondo. Mi ha svegliato il canto di un Koel, un uccello molto comune, non era un sogno!». Niente choc culturale: «Ho trovato un ambiente di lavoro internazionale, così come la città. Ho avuto la fortuna di vivere con colleghi in quartiere vivace, dove ho conosciuto e interagito con molti thai che hanno viaggiato, così come altri expat come me». In Thailandia è facile vivere ma non integrarsi: «Sarai sempre straniero e chi decide di vivere a lungo lo deve sopportare, ma la comunità di espatriati ti aiuta, specie tramite lo sport».

Fallimenti e successi

Difficoltà anche nel lavoro. L’approccio orizzontale, il non specializzarsi, è una lama a doppio taglio. «Sono stato disoccupato, ho vissuto progetti naufragati, con stress e difficoltà per essere lontano da casa». Matteo nota un contrasto tra il caos e la vita materialista di Bangkok rispetto alla filosofia buddista: «Persone di qualsiasi estrazione sociale camminano vicino, ma anche mega appartamenti con quattro piscine e a due passi catapecchie».

Impara a reinventarsi, tra giovani aziende e start-up. Esplora industrie e settori, ma sempre con due comuni denominatori, la tecnologia e il voler creare qualcosa per aiutare altri. Nascono progetti «come una banca per micro crediti per persone con reddito basso per non finire in pasto agli strozzini, oppure piattaforme di aiuto tra vicini o di campus, fino a progetti con la Banca Mondiale per gli scooter elettrici». Nei rientri torna anche all’università per raccontare le sue esperienze. Succede a Cagliari, dove aveva fatto la biennale, poi in Svezia e a Karachi, in Pakistan.

Osserva curioso due mondi che vivono la stessa vita, ma in un tempo completamente diverso: «Bangkok è caotica, cosmopolita e l’Asia, punta all’innovazione, anche a costo di lasciare delle persone indietro. Da noi non abbiamo fretta e proteggiamo chi siamo e cosa siamo stati come civiltà».

Le sfide

La sfide lavorative non mancano: «A fine 2023 mi hanno chiesto di prendere in mano l’azienda dove lavoro, la Masii. È la prima volta come direttore e fino ad ora mi sta portando soddisfazioni e partite da giocare». Tra le tante c’è anche «l’essere l’unico straniero, a parte fondatore e investitor, e questo significa dover capire dinamiche culturali così come padroneggiare meglio la lingua thai». È una piattaforma di comparazione di prodotti finanziari/assicurativi, che ogni anno attira milioni di thailandesi. Nel 2019 è stata inserita nella top 100 delle Fintech al mondo.

Successo lavorativo ma anche filosofia. Per chi volesse seguire la sua strada, un consiglio: «Osare e evitare le scuse. Siamo cresciuti in un posto che consideriamo casa, la nostra zona di confort, ed è difficile lasciare perché si mette in discussione tutto e subentra la paura. Uscire porta, però, crescita e opportunità». Quelle lette anche in un libro che tiene sul comodino, La biblioteca di mezzanotte di Matt Haig. Tra quelle pagine, magari, c’è un biglietto di ritorno: «Sento che l’Asia sia un capitolo in chiusura. Non so cosa ci sarà dopo, ma tornare è una delle possibilità».

Nicola Montisci

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