«L’addio al Partito Sardo D’Azione non è un addio personale ma una scelta che tanti compagni di strada hanno deciso di intraprendere in questi mesi dopo la decisione, scriteriata, dell’attuale classe dirigente dei Quattro Mori di suicidarsi davanti alla pesante sconfitta elettorale. Non è un caso che gli unici eletti in Consiglio regionale siano proprio gli esponenti che più di tutti si sono opposti alla linea dettata da Christian Solinas con l’obbedienza cieca di Antonio Moro». Inizia così la replica di Gianni Chessa, consigliere in uscita dal gruppo sardista in Consiglio regionale, al segretario del Psd’Az Christian Solinas che oggi, riferendosi all’ex assessore al Turismo e all’altro dissidente Piero Maieli, ha parlato di un partito che rinasce depurato da alcune scorie.

«Oggi il Psd’Az - spiega Chessa - è in mano a una combriccola che vive senza avere alcuna percezione della realtà, che non ha un collegamento con una società che chiede risposte e che pretende di essere ascoltata. Una combriccola che ha svenduto l’autonomia della Sardegna alle logiche leghiste e salviniane». Inoltre, «la responsabilità di questo fallimento, che ha condotto il Psd’Az a non avere una propria rappresentanza nell’assemblea legislativa della Sardegna, è principalmente del segretario del partito Christian Solinas».

Chessa dice che «l’ex governatore mi definisce un baronetto. Dietro questa definizione si nasconde il disprezzo snobista e classista di un uomo che da tempo ha smesso di parlare con le persone. Io non sono chiaramente un lord inglese, vengo da un quartiere popolare di Cagliari e in quel quartiere sono rimasto a lavorare nel sociale e nello sport: in tutti questi anni di attività politica, non ho mai smesso di aiutare chi aveva più bisogno. Sono abituato a vedere la povertà e la sofferenza delle persone con i miei occhi, a toccare con mano tragedie personali e familiari di migliaia di persone. Sono persone che, quando mi incontrano, mi salutano e si fermano a parlare con me perché in me hanno trovato non il semplice politicante ma un interlocutore che prova, in modo onesto e pulito, a dare una risposta concreta ai loro bisogni».

«Io sono un uomo del popolo e non mi vergogno della mia provenienza. E gli elettori lo hanno capito. Del resto, non è un caso che io sia stato l’esponente del centrodestra che ha preso più voti in occasione delle ultime elezioni regionali». Infine: «La politica si fa in mezzo alla gente e non nelle stanze dei regolamenti scritti ad arte per procrastinare lo status quo. Il tempo sarà maestro come lo è sempre stato nella storia di ciascuno di noi. La mia storia è sempre stata limpida. Ecco perché sono stato scelto dagli elettori. Ecco perché me ne vado da un partito retto da un piccolo gruppo di dirigenti che si crede un élite ma è solo la fotografia sbiadita del proprio fallimento politico». 

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