U na pagina triste nella storia del Teatro Lirico la scrisse il suo pubblico il 30 aprile del 1997, quando il leggendario mezzosoprano spagnolo Teresa Berganza si esibì in un recital destinato a lasciare, nella memoria, il raro sigillo della perfezione. Quarant'anni erano passati dal suo esordio al Metropolitan di New York.

Il programma di sala cagliaritano (che all'epoca costava tremila lire) la ritraeva in bianco e nero con gli occhi da gazzella e la postura da pantera. Sul palco, Teresa Berganza apparve come una donna minuta, ma dal carisma sorprendente. Avrebbe cantato a lungo. In principio Vivaldi, poi Pergolesi. E, ancora, Rossini, Schubert, Brahms e, per finire, El fantasma, Cantares e Farruca di Joaquín Turina.

Il suo timbro vocale inconfondibile - proprio come quello di Marilyn Horne e della Callas (insieme alla quale si esibì a Dallas nella Medea di Cherubini) - infiammò la platea. Argilla, caverna e cobalto, appuntò un giovane critico musicale, a matita, sul suo taccuino.

Il finale fu trionfale. Gli applausi roboanti.

Attesi, seguirono i bis. Molti, anzi: moltissimi.

Di encore in encore Teresa Berganza continuava a donare al pubblico cagliaritano nuovi spicchi di sé.

Sul pianoforte a coda aveva avuto cura di lasciare il suo scialle ben in vista: un modo per annunciare che i bis avrebbero continuato a susseguirsi. Ma l'ora tarda, la stanchezza e i tavoli prenotati in ristorante ebbero la meglio sull'incanto.

In un fuggi-fuggi generale, centinaia di cagliaritani cominciarono a lasciare il teatro. Prima alla spicciolata, poi in gran numero.

«Non d'accabba prusu…», commentò un'anziana signora levandosi in piedi spazientita.

E, così, quando Teresa Berganza rientrò in scena per regalare ai cagliaritani un ultimo bis si rese conto che tanti erano già in piedi e che in molti erano andati via.

Fu nettissima la delusione sul suo volto.
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