È la seconda Pasqua in zona rossa, ma sono cambiate molte cose, in meglio e in peggio.

Un anno fa, eravamo di fronte a un virus sconosciuto, non avevamo nessuna cura; ci illudevamo che il caldo estivo avrebbe sconfitto il coronavirus; c'era chi pensava che sarebbe bastato il metodo cinese (la segregazione) per fermare la pandemia; il governo giallorosso era pre-destinato a fallire, dominato dal populismo di Giuseppe Conte che aveva trasferito Palazzo Chigi su Facebook e dato al commissario Domenico Arcuri la licenza di sentirsi onnipotente.

Un anno dopo, sappiamo molte cose del virus, abbiamo farmaci che lo frenano (le cure monoclonali), tre vaccini americani (Moderna, Pfizer e Johnson & Johnson), uno inglese (AstraZeneca), tre cinesi (Sinovac, Sinopharm, Cansino), due russi (Sputnik e EpicVacCorona) e uno indiano (Covaxin); l'estate avrà almeno due grandi Paesi dell'Occidente, gli Stati Uniti e il Regno Unito (oltre alla Cina e a gran parte dell'Asia che sono già in un'altra dimensione) fuori dall'emergenza pandemica; in Italia abbiamo un governo con una larghissima maggioranza e un presidente del Consiglio, Mario Draghi, che ha le carte in regola per far uscire l'Italia dalla crisi, il capo della campagna di vaccinazione è un alpino, il generale Francesco Paolo Figliuolo.

Non siamo fermi a un anno fa. Siamo andati avanti, ora la direzione di marcia è quella giusta.

I grandi errori li conosciamo: lockdown disordinati, Dpcm surreali che ambivano a regolare anche i sentimenti mentre il virus era libero di fare il suo rodeo, il tracciamento dei contagiati saltato, i risarcimenti per le aziende insufficienti e in cronico ritardo (e 160 miliardi di debito in più in un anno che sono evaporati e hanno zavorrato il bilancio dello Stato), il colossale errore della Commissione europea sui contratti con le case farmaceutiche.

Dopo un anno, 110 mila morti e il crollo dell'economia, siamo arrivati a aprile 2021 (ricordo ai leoni da tastiera che Mario Draghi ha giurato il 13 febbraio scorso, è in carica da appena 49 giorni, 7 settimane) e questa catena di errori cresciuta in maniera esponenziale nel secondo semestre del 2020 ci ha fatto accumulare nel 2021 almeno tre mesi di ritardo sulla vaccinazione rispetto a Stati Uniti e Regno Unito che hanno giocato la partita del vaccino, l'unica che aveva un senso fin dall'inizio di questa storia. L'amministrazione di Donald Trump ha sviluppato i vaccini con i miliardi di dollari dell'Operazione Warp Speed e quella di Joe Biden li ha somministrati. Così come ha fatto con l'università di Oxford Boris Johnson, il premier inglese, proprio quello dileggiato dagli intelligenti a prescindere che oggi alla prova dei fatti splendono di nanismo culturale. La Casa Bianca ha usato la politica America First (anche il democratico Biden, piaccia o meno alla legione del politicamente corretto) e vieta l'export dei vaccini, mentre l'Inghilterra ha percorso in accelerazione la via di fuga della Brexit. L'Unione europea purtroppo ha mostrato il suo deficit politico (e il tramonto della leadership di Angela Merkel), un vuoto che Draghi sta colmando, lanciando un'offensiva nei confronti delle case farmaceutiche e delle strozzature brussellesi, pretendendo il rispetto dei contratti, pragmatismo.

L'attuale dibattito tra aperturisti e chiusuristi è fuori tempo massimo. Aveva senso all'inizio della pandemia, quando lockdown mirati e rigorosi (quelli che sono stati fatti in Oriente) servivano a localizzare, tracciare e fermare il coronavirus. Non è mai stato né localizzato né tracciato né fermato. Ha dilagato. Non a caso il premier Conte e il commissario Arcuri non sono più a Palazzo Chigi.

Siamo in un'altra fase, il governo Draghi ha un due mandati imperativi: vaccinazione e ricostruzione. Questa missione è possibile, a patto che gli ospedali non siano saturi di malati di Covid, gli operatori sanitari possano concentrarsi sulla vaccinazione. Siamo di nuovo in carreggiata e presto arriveranno milioni di vaccini, tra qualche settimana racconteremo un'altra storia. Per queste ragioni il dibattito che impregna i giornali è fuori tempo, è senza orizzonte sul piano politico. La crisi della pandemia sta per finire, quella dei partiti no.

Post scriptum. Sei mesi fa su questo giornale scrissi la storia di un pastore sardo, quella del Cardinale Angelo Becciu. Su di lui piovvero accuse che mi sembravano a dir poco friabili. Il Pontefice, preoccupato per la gestione della Santa Sede, lo allontanò. Fu un colpo netto. Un gran dolore per Pattada, il suo paese, e tutta la Chiesa sarda. Ho atteso sulla riva del Tevere, con il taccuino squadernato del cronista, che scorressero i fatti. L'altro ieri Papa Francesco ha compiuto un grande gesto che ne conferma ancora una volta la forza del carattere: ha celebrato messa in “Coena Domini” a casa del pastore sardo. Non è ancora il “The End” di questa sceneggiatura, ma il tempo è galantuomo. Buona Pasqua.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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