Perché sorprendersi se il paesaggio di Cagliari è punteggiato da rifiuti e sgradevolezza olfattiva? Se si riesce a ignorare i sacchetti è più complicato per l'odore e per l'alterata percezione dei luoghi. Impossibile oggi il “silenzio olfattivo”? Forse no. Lo era nelle età passate, come scrive Alain Corbain in Storia sociale degli odori (Mondadori 1983) sul rapporto tra uomo, rifiuti, odori. Al netto di amministrazioni non all'altezza, la città ha sempre avuto il problema dello smaltimento dei rifiuti. Per quanto l'assenza della plastica lo rendesse più semplice, già nell'ordinamento romano era proibito buttarli nelle vie e ciascuno doveva ripulire lo spazio prospiciente la sua abitazione. Il problema divenne fuori controllo se agli ediles, addetti alle infrastrutture urbane, si aggiunsero quattro curatores viarum e nel tempo si suddivisero le spese della pulizia delle strade, in parti uguali, tra privati e pubblico. Vespasiano decise la messa in opera di latrine, tuttora parte del paesaggio urbano. Gli stessi contenitori anforacei di derrate una volta scaricati nei porti, essendo usa e getta, formarono a Roma il Testaceo e a Cagliari in viale Regina Margherita un cospicuo strato a sorreggere la strada di una necropoli attiva dal tardo punico all'alto medioevo. Si chiama anche “archeologia dei rifiuti” perché più di altre fonti sono la base per ricostruire le diverse fasi nei millenni. Che cosa sono altrimenti quelli rinvenuti nella Grotta di San Bartolomeo, oggetto dal 1878 di studi di paleontologi e di paletnologi, di scavi e di indagini archeologiche, geologiche, botaniche, malacologiche, zoologiche? Le comunità che vissero dal Neolitico antico alle Età del Rame e del Bronzo in quell'habitat rupestre vi lasciarono anche oggetti d'osso e di ossidiana, in rame, un'accetta levigata, conchiglie, denti forati, pendagli, frammenti di vasi campaniformi, che hanno raccontato a D. Lovisato prima e a G. Lilliu ed E. Atzeni nel secondo Novecento, le loro storie. Verso i rifiuti forse è necessario uno sguardo diverso.
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