Se potesse prenderebbe un volo e andrebbe lì, con le altre donne, sulle strade di Teheran, a sfidare il potere degli ayatollah, l'arresto, le frustate, la morte. Se potesse. Ma non può.

Mahsa Rahmani Noble, 49 anni, lo stesso nome della giovane che con la sua morte ha dato il via alla protesta che sta scuotendo l'Iran, è la pronipote di Soraya, la bellissima moglie – ripudiata – dello Scià di Persia Reza Pahlavi. Se torna finisce in cella, bene che le vada.

Allora guarda i video, e piange. Con un senso di colpa che ha radici lontane, nella sua vita di bambina che non poteva capire la condizione femminile nel suo Paese dopo la rivoluzione del 1979.
Inserita nella lista nera, a quindici anni è fuggita con la famiglia, il padre e il fratello in Turchia, lei con la madre e le sorelle a Cipro, divisi per un anno, prima di ritrovarsi, nel 1989, negli Stati Uniti. E ora, nelle ragazze che sfidano il potere rivede anche se stessa.

«Ho il cuore spezzato per le donne del mio Paese. Ho vissuto quella vita. Piango quando guardo i filmati del coraggio di quelle donne e della crudeltà del governo contro di loro. Vorrei poter essere lì e combattere al loro fianco. Vado a letto ogni notte con il cuore pesante e tanto senso di colpa».

Scrittrice 

Mahsa Rahmani Noble parla al telefono da Roma dove si è trasferita in attesa del via alle riprese del film su Soraya, tratto dal suo primo libro: si occupa di consulenze aziendali internazionali ma è anche una scrittrice. È già stata in Italia, a Milano, tra il 1998 e il 2001, e proprio in quel periodo ha cercato di incontrare a Parigi la prozia che dopo il divorzio, nel 1958, aveva vissuto in esilio.

«Dopo mesi di contatti ci ero finalmente riuscita ma quando è arrivato il momento di fissare l'appuntamento è morta». Così ha ricostruito la storia di Soraya attraverso le amicizie più care. «Ai tempi in cui era imperatrice, dal 1951 al 1958, l'Iran era conosciuto come una società moderna e lungimirante: mancavano ancora alcuni diritti sociali per le donne che poi, con l'Iran dei mullah, hanno perso tutto, con forza e brutalità».

La cronaca

Ed ecco che un romanzo storico riporta all'attualità, alla cronaca di questi giorni. «Le donne non hanno più nulla da perdere, meglio combattere e rischiare la vita che continuare a vivere in quelle condizioni». Non è una questione di velo obbligatorio, non solo. «Le donne in Iran possono studiare e lavorare ma non possono fare nulla senza il permesso del padre o del marito; se una donna in Iran viene presa con la forza e violentata deve provarlo altrimenti viene giustiziata come adultera; se una donna in Iran, stanca delle violenze domestiche, chiede il divorzio perde tutto, a cominciare dai figli che vengono subito affidati in custodia al padre; le donne non possono andare in un hotel, viaggiare da sole né avere una vita sociale libera». Mahsa Rahmani Noble sa che le giovani che sfilano per le strade di Teheran hanno gli uomini al loro fianco. «È tutto vero quello che vediamo, grazie ai social finalmente l'Occidente ha davanti agli occhi senza mediazioni la situazione drammatica che si vive in Iran. Gli uomini non sono più disposti sacrificare allo Stato la vita delle loro mogli, sorelle e figlie perché una ciocca di capelli fuoriesce dal velo».

Ben venga il taglio di capelli in segno di lutto a favore di telecamera ma ci vuole anche altro. «Farsi vedere in tv e fare proclami non basta, serve un aiuto concreto dagli Stati occidentali, un sostegno non necessariamente violento a un movimento che è pacifico: donne e uomini mettono la propria vita davanti alle armi, gli arresti, la lapidazione». Perché, c'è ancora la lapidazione? La voce di Mahsa Rahmani Noble è un soffio: «Sì». Ma la risposta alla domanda successiva (Se la rivoluzione in atto dovesse centrare l'obiettivo tornerebbe in Iran?) arriva col sorriso: «Subito, ovviamente. Porterei i miei figli a vedere il mio Paese». Il nostro augurio parte dal cuore.

Maria Francesca Chiappe

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