Scaricata al debutto da due milioni di persone, poi "arenatasi" per il prevalere di dubbi, diffidenze, quando non per aperte proteste e addirittura boicottaggi di ogni sorta.

A quattro mesi dal giorno in cui Immuni, l'app per il tracciamento dei contatti dei positivi al Covid (ecco come funziona) è stata resa disponibile su tutte le piattaforme, ha vissuto diverse fasi. E solo ora che la seconda ondata è quasi realtà, con l'aumento giornaliero dei contagi di nuovo a quattro cifre, ha visto un nuovo rialzo: oltre sette milioni i download totali secondo il ministero della Salute, con +350mila rispetto all'ultima rilevazione del primo ottobre (in Sardegna in totale 154mila, dati di settembre).

Un bel balzo, ma considerando che l'app copre ancora solo il 18% dei dispositivi presenti in Italia, percentuale dalla quale sono esclusi i minori di 14 anni che non possono scaricarla, la strada è ancora lunga.

Lo spiega a UnioneSarda.it Antonello Soro, per otto anni Garante per la protezione dei dati personali: "Sette milioni sono ancora troppo pochi e oggi il tracciamento dei contatti è ancora più importante rispetto ai primi mesi della pandemia".

Soro, 71enne di Orgosolo, laurea in Medicina, fino a pochi mesi fa è stato a capo di un'Autorità che nel periodo peggiore dell'epidemia si è fatta baluardo del bilanciamento tra diritto alla salute e quello alla riservatezza: "Sarebbe stato bene, seguendo le indicazioni del governo, se si fosse da subito seguito l'invito a scaricare l'app e concorrere in un atteggiamento solidaristico a un processo di prevenzione e di controllo della pandemia, che non può non giovarsi delle tecnologie quando sono usate con criterio e con intelligenza".

Perché c'è ancora tanta diffidenza?

"In realtà da questo punto di vista abbiamo vissuto un'oscillazione direi patologica: in una prima fase, quando si è cominciato a discutere del tracciamento dei contatti, si auspicava quasi una corsa al modello coreano o cinese, alla 'Tracciateci tutti'. Più di uno, anche tra i responsabili tecnici e politici, diceva che non doveva esserci un freno".

E poi cos'è successo?

"Si è arrivati a un atteggiamento opposto, con polemiche suscitate da più parti e spesso incomprensibili, che hanno dissuaso gli italiani a scaricare l'app. Questo nonostante il suo sviluppo, ma soprattutto nonostante la norma che ha garantito uno standard di protezione dei dati assolutamente elevato. Una cosa che non si è mai verificata".

In che senso?

"Nel caso di Immuni la tutela dei dati viene garantita da una (giustamente pretesa) norma di legge, caso unico tra le applicazioni che gli italiani usano abbondantemente, e non parlo solo di app private ma anche governative. In sintesi la gestione della piattaforma da parte dell'istituzione pubblica è del tutto trasparente e controllabile. Voglio ricordare che chiunque utilizza i dati in modo abusivo incorrerebbe in una sanzione sia amministrativa che penale. Questo dovrebbe bastare a farci stare tranquilli".

Quando lei era presidente dell'Autorità ha chiesto con forza che l'adesione fosse volontaria. Perché?

"E' vero, è stata una delle prime richieste che abbiamo fatto. Sappiamo che la limitazione della libertà, in casi come questo, è necessaria. Ma la volontarietà apre un rapporto fiduciario tra il cittadino e lo Stato. Noi vogliamo guadagnare la fiducia dei cittadini. Sa cosa sarebbe successo se avessimo imposto il download?".

Che cosa?

"Semplice, si lasciava il telefono a casa e si andava a passeggio. Non lo avrebbero certo fatto tutti, ma voglio dire che se non ci si crede, se non si ha fiducia, una imposizione la si può evitare in mille modi. Oggi dobbiamo ancora insistere su questo rapporto di fiducia. Ma anche il governo deve fare la sua parte".

A cosa si riferisce?

"Il tracciamento dei dati è essenziale ma soltanto se, dopo la notizia di una positività e la notifica ai contatti, il tampone viene fatto subito e le misure di prevenzione hanno tempi veloci. Altrimenti tutto diventa inutile. No alla quarantena al buio".

L'Italia come è messa rispetto al resto d'Europa?

"Siamo stati i primi a proporre un tracciamento tra i contatti (e non tra le persone) senza geolocalizzazione. Il modello è piaciuto, lo standard italiano oggi è diventato quello europeo. Tanto da consentirci in tempi molto brevi di avere un sistema interoperabile tra le varie piattaforme europee che hanno lo stesso scopo".

Da cosa bisognerebbe guardarsi veramente sul fronte privacy?

"Gli utenti di tutto il mondo per anni hanno avuto una fiducia cieca nella tecnologia. Oggi finalmente c'è un giusto tentativo di regolazione delle piattaforme. L'Europa in questo è all'avanguardia ma lo sforzo avrà senso solo quando avrà un riconoscimento universale. Spero che i tempi non siano lunghi, perché lo sviluppo tecnologico va in fretta. Devo dire che da questo punto di vista la discussione eccessiva su Immuni ha prodotto un risultato direi inaspettato".

Quale?

"Quantomeno è servita a far prendere più consapevolezza sull'importanza dei dati personali: da un lato sono la sostanza che alimenta l'economia digitale, dall'altro sono una proiezione delle persone. Quindi tutelare i dati signica tutelare le nostre persone".

(Ansa)
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