Sul proscenio di guerra c’erano persino le poltroncine per i vip. Le bandierine degli Stati alleati sono sull’attenti davanti alle telecamere internazionali quando i generali irrompono per raccontare la loro guerra in terra sarda. Rose e fiori, se li stai ad ascoltare, per loro è tutto benessere distribuito a piene mani, come se in questi venti giorni nella valle di Teulada avessero moltiplicato a dismisura pani e pesci. Raccontano quel che vogliono, ovviamente, con tanto di elogi alle truppe, alla potenza smisurata delle armi schierate in quel teatro da combattimento, incastonato tra la penisola maledetta, devastata da radiazioni e bombe ciclopiche, e le dune incantate di Is Arenas Biancas.

Bombe & silenzio

Niente, nemmeno una parola, per quell’inferno di fuoco che ha spazzato dall’alba, per l’ennesimo giorno, un’area protetta dove per gli umani, quelli sardi e non solo, è persino vietato camminarci, dove accedervi in macchina sarebbe da sequestro senza appello, con tanto di ritiro di patente. I cartelli su quei tratti di mare sono la contraddizione irridente di qualsiasi minimo buon senso: vietato entrare per pericolo di residui bellici inesplosi, oppure, vietato camminare per tutelare il sistema dunare sabbioso. Eppure, qui, nell’estremo lembo di Sardegna, dove una delle poche frequenze radio che si captano è tunisina, ti accorgi quel che sta accadendo solo quando ti affacci su quel filo spinato che separa quei settemila ettari, strappati a pastori e contadini, dal resto del mondo.

Vietato guardare

L’attendente, con mimetica scintillante di stellette penzolanti, vorrebbe persino vietarti l’ingresso dello sguardo: I suoi superiori che si susseguono per intimare il divieto di fare foto o video si arrampicano su leggi che non conoscono o che interpretano a loro uso o consumo. Probabilmente glielo insegnano da bambini: vietato far vedere. Hanno ragione a tentare in ogni modo di impedire di far vedere quel che accade oltre quel reticolato. Peccato che ieri mattina all’alba, giornata finale della Noble Jump 2023, non fossero soli, quando hanno fatto scattare una delle operazioni più violente mai messe in campo al cospetto di Capo Teulada, un tempo terra di nuraghi, allevamenti e campi coltivati. Nove nazioni, americani e italiani compresi, tutte armate sino ai denti per dimostrare che la Nato c’è, è pronta a schierarsi ovunque e in tempi rapidi. Peccato che per dimostrarlo abbiano scelto ancora una volta la Sardegna e il poligono “area protetta” di Teulada, dove tutto è consentito, senza colpo ferire. Solitamente la regola aurea è quella di nascondere tutto, di “proteggere” in ogni modo quei nefasti attacchi all’ambiente di una delle aree più esclusive dell'Isola. Questa volta non lo hanno potuto fare, nonostante i sorrisi e le pacche sulle spalle distribuite a destra e a manca pur di raccontare la loro verità su questa esercitazione-inferno che si è abbattuta sulla costa sud della Sardegna, da Porto Pino sino a Tuerredda, le spiagge più esclusive del territorio. Erano talmente tanti che non si sono potuti nascondere, non hanno potuto occultare le prove dei misfatti.

Tradimento per ego

E, poi, si tradiscono reciprocamente, drogati dalla smania di esaltare le gesta guerrafondaie nella terra dei Nuraghi. Non sono autorizzati, o meglio non dovrebbero esserlo, ma non possono far a meno di immortalarsi nel teatro di Capo Teulada mentre schierano la potenza di fuoco da far esplodere contro le coste dell’Isola-paradiso trasformata in un inferno di guerra, quella vera, con bombe, missili, attacchi da terra, da mare e dall’aria. La prima immagine è quella delle “vedettes” di questa grande fiera delle armi, i Leopard di ultima generazione, quelli che i tedeschi hanno spedito al Porto Canale di Cagliari per far “rosicare” i poveri “ariete” italiani o giù di lì. Avanzano lungo la diagonale del poligono da sud verso nord, con una velocità supersonica rispetto a tutti gli altri, quasi dovessero vincere un premio miliardario, quello che lo Stato italiano è pronto a pagare pur di averli nel suo armiere di guerra. Avanzano e bombardano, sfondano il terreno con cingoli possenti, devastano le colline a colpi di mortaio. Trema tutto, in una sequenza che trasforma il cuore in un battacchio sospinto dal rimbalzo del timpano.

Nube nera

Quando il sole di Sa Portedda, la parte alta del Poligono, comincia ad alzarsi sul campo ci saranno non meno di 50 carri armati, quelli poveri e quelli moderni, ma soprattutto ci sono esplosioni mai viste prima, potenti, con fiammate altissime e vastissime, che nel tempo di un fulmine si sprigionano in cielo con una nube nera e non certo salubre. La documentiamo in presa diretta, a segnare il confine abbondantemente superato. E poi ci sono loro, gli uomini della contraerea. Le sequenze sono da shock: piazzati sulle rocce rosse usano i mezzi pesanti per il lancio del bersaglio aereo e sulla spalla del lanciatore lo Stinger, il missile terra-aria sviluppato e utilizzato da tutte le forze armate americane. Infine, le trincee. Una vera e propria devastazione ambientale senza precedenti. Centinaia di metri di scavi violenti dove i militari di turno, i norvegesi, bardati e armati sino ai denti si fanno riprendere da un cameraman, come fossero in un set cinematografico. In realtà sono in un paradiso terrestre trasformato in un inferno di guerra, distrutto da escavatori, bombe, missili, carri armati e arroganza di Stato.

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