Solo due anni fa, quando in Sardegna i richiedenti asilo erano sotto la soglia di 2700, i costi dell'accoglienza si aggiravano sui 3 milioni di euro al mese. Nel 2015, però, le strutture erano 67: oggi sono 140, più che raddoppiate. Si tratta di appartamenti sfitti, ostelli, camping, ex alberghi nati con nessuna fortuna (quindi riconvertiti all'occasione) e gestiti da privati e cooperative.

SPESA PESANTE - È il fronte della prima accoglienza, quello che, fatti i conti della massaia, oggi nell'Isola - dove i richiedenti asilo sono 6900, 500 dei quali minori - costa non meno di 10 milioni di euro al mese. Una cifra pesante se, soprattutto, si valuta il paradosso di un sistema impantanato nei tempi infiniti delle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato e nella lunga permanenza nelle strutture. Il decreto Minniti renderà più veloce il meccanismo, con la cancellazione di un grado di giudizio per i ricorsi. "Purtroppo - dice Angela Quaquero, delegata della presidenza della Giunta per l'immigrazione - questa è una situazione che sta facendo da tappo alla seconda accoglienza, cioè a quei progetti per una effettiva integrazione, dai corsi di lingue alle cooperative agricole, sostenuti da importanti fondi europei".

GLI ATTRACCHI - Noi, ammette, "costretti come siamo a gestire costantemente l'emergenza, abbiamo grandi difficoltà nel mettere insieme il tempo e le forze per curare la seconda accoglienza". Cinque le navi cariche di migranti attraccate al porto di Cagliari dall'inizio dell'anno. E con l'estate, il mare tendenzialmente calmo di luglio e agosto, obiettivamente il numero salirà. "Gli operatori della sanità e della protezione civile sono stanchi, sfiniti. In queste condizioni - ripete Angela Quaquero - non siamo in grado di lavorare anche per l'inclusione perché dobbiamo governare gli sbarchi".

IL MALUMORE - Dopo l'altolà del Governo che ha minacciato la chiusura dei porti se gli altri Paesi europei continueranno a far finta di niente (la Francia, per dire, ha rispedito novanta profughi alla frontiera di Ventimiglia), il malumore è diventato un'epidemia, e il contagio è giunto fino in Regione. "È evidente che, se l'Europa non fa la sua parte, si arriva al collasso e crolla la qualità dell'accoglienza - puntualizza la delegata per l'immigrazione -. Per questo dico che, adesso, è necessario uscire al più presto dall'emergenza".

FILO DIRETTO - Mica per niente, nei giorni scorsi, con 12 mila migranti in mare, le prefetture in contatto coi governatori della Sardegna, della Sicilia, della Calabria e della Campania hanno parlato di "una grossa emergenza" annunciando l'arrivo delle navi e chiedendo la predisposizione dell'accoglienza. All'Isola il Viminale ha destinato altri 903 migranti sbarcati l'altro ieri al porto canale di Cagliari. "Noi siamo sempre stati disponibili anche se la quota è di poco sopra a quella assegnata - sottolinea l'assessore agli Affari generali Filippo Spanu -. Ma oggi, dal punto di vista del controllo del fenomeno, è evidente che non possiamo più farci carico anche di ciò che non viene fatto da altri". L'assessore parla dell'Europa, e alla domanda se si riferisca anche ad altre Regioni non dice sì o no, preferisce puntualizzare che "c'è chi non fa la propria parte, e lo ribadiremo in Conferenza Stato-Regioni". Appunto.

I COMUNI - È da tempo che l'Anci Sardegna denuncia i limiti di "un sistema fondato sull'emergenza". In questo modo, avverte il presidente Emiliano Deiana "non si fa integrazione". Il modello ideale, avvisa, "non sono certo queste strutture spesso affollate all'inverosimile, ma i programmi messi a punto nei comuni". Gli Sprar, i progetti di integrazione (una quota di migranti per il numero di residenti, 6 ad esempio per i centri fino a 2000 abitanti, poi si sale) che garantiscono a un paese la clausola di salvaguardia per cui le prefetture non possono imporre altri arrivi. In Sardegna già nove Comuni li hanno adottati. Altri settanta hanno presentato richiesta. "È la via più intelligente: accogliere sette, otto profughi invece che aspettare la decisione della prefettura. Ho visto qual è l'umore dei Comuni più grandi, all'ultima assemblea del Consiglio nazionale dell'Anci. Città come Roma stanno dicendo basta. E siccome queste non faranno più accoglienza, toccherà ai piccoli centri".

Piera Serusi

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