In qualsiasi altra parte del mondo le vie d'accesso sarebbero state intasate da chilometri di auto. Qui no, in questo scrigno misterioso e segreto, c'è silenzio, quasi cosmico. La brezza è polvere di stelle, bagnata da un pulviscolo d'acqua sospinto a fatica da un cielo coperto. Nel piazzale d'ingresso il buio domina senza riflessi. Quando lasciamo il calvario della Carlo Felice, poco prima di Abbasanta, sappiamo dove andiamo, ma non cosa troveremo. La freccia indica Santa Cristina, niente più. Eppure la quinta notte del nuovo anno potrebbe far entrare ancora una volta la luna nel cuore del Pozzo sacro, in uno dei luoghi più affascinanti della grande e inesplorata Civiltà del Popolo Sardo, quella nuragica. I passi sono bagnati, i cancelli socchiusi, in lontananza si intravvede una costellazione di spie rosse disseminate tra l'erba rada e pietre millenarie. Trappola stellare

Come una trappola stellare, protesa verso il cielo, pronta ad incatenare il momento in cui la grande luna si incuneerà nell'antica terra di Sardegna. Ogni 28 giorni da tremila anni in questo proscenio esclusivo di storia e stelle non c'è una sola volta che l'appuntamento sia venuto meno. Del resto la luna, la terra e il sole hanno continuato imperterriti a ruotare in maniera precisa e perfetta in quel meccanismo che fa dell'Universo il primo approdo della scienza, quella che traguarda orizzonti infiniti e ancor oggi inesplorati.

I pioneri delle stelle

Tra quelle luci pulsanti nascoste nel cuore di Santa Cristina, seduti su rocce arse dal tempo, quasi in contemplazione, quando la mezzanotte ha davanti a se ancora un'ora, ci sono tre dei protagonisti di questa storia. Sono loro che da anni raccontano in giro per il mondo che la Sardegna è terra sacra e non di guerra, sono loro che, tra diffuso disinteresse e ostentata superiorità cattedratica, si sforzano di chiedere a chiunque di toccare con mano, di vedere con i propri occhi, quel che capita in questa terra costellata dai segni di una civiltà "superiore" che ha traguardato le stelle come nessun'altra.

Il Contadino a Cambridge

C'è Mauro Peppino Zedda. Lo chiamano il Contadino, ma in realtà è un perito agrario con la saggezza di chi sa usare i numeri e la topografia. Già dagli anni ottanta si è messo in giro con teodolite e triangolazioni per registrare orientamenti e inclinazioni. È lui che ha travolto tutti gli altri. Qui, in Sardegna, non lo ascoltava nessuno. Sino a quando è volato alla volta di Cambridge, Dipartimento di storia e filosofia della scienza. A riceverlo Michael Hoskin, il numero uno al mondo della scienza e dell'astronomia antica e della storia dell'astronomia. Quando il "Contadino", che parla come un archeo-astronomo, provetto gli illustra i rilievi topografici, le carte, le misurazioni temporali, lui capisce al volo che si sta parlando di un qualcosa di unico e straordinario.

Ingegnere & Professore

Nella terra di Sardegna, tremila anni fa, un popolo ritenuto rustico e poco incline alla scienza, aveva, invece, non solo fondato la propria vita su una profonda sacralità, ma l'aveva incardinata in uno dei più complessi e affascinanti misteri, quello dell'astronomia e dell'universo. Fu Hoskin, divenuto Presidente della Commissione di storia dell'astronomia dell'Unione Astronomica Internazionale, a sdoganare gli studi del "Contadino", promosso sul campo al rango di archeo-astronomo.

Follia ignorare

Gli scritti e le valutazioni dell'illustre scienziato non lasciano adito a dubbi: sarebbe una follia non studiare e non approfondire questa straordinaria variabile scientifica della Civiltà nuragica della Sardegna. Con lui al cospetto di questo eremo cosparso di buio e silenzio, c'è Paolo Littarru, l'ingegnere che di giorno indaga sulle devastazioni ambientali in terra sarda e di notte triangola le stelle sui monumenti archeologici dell'Isola. Quando gli domandi della suggestione delle stelle sulla civiltà nuragica, risponde a muso duro: non mi appassiono di suggestioni, preferisco la scienza esatta. È lui che, più di altri, ritiene un errore non investire su un nuovo orizzonte fondato sull'archeo-astronomia nella terra dei Nuraghi. Da ingegnere di terra e di cielo non si è mai fermato, nemmeno davanti alla delazione o alla denigrazione. Con loro, in questa notte ancora coperta da una cappa di nuvole che si frappongono tra la grande luna e la terra, c'è Arnold Lebeuf, professione scienziato, nazionalità a cavallo tra Francia e Polonia, residenza dichiarata in Sardegna.

Da Cracovia a Paulilatino

Lui, luminare di Antropologia culturale , Archeoastronomia e Astronomia culturale, docente dell'Università di Cracovia, per studiare più da vicino questo mondo fantastico della civiltà nuragica ha preferito trasferirsi per sempre nella terra delle stelle e dei nuraghi. A Paulilatino gli hanno persino dato la cittadinanza onoraria, per avere aperto gli occhi a chi li aveva chiusi.

Un capolavoro nuragico

Anche lui, a dire il vero, come tanti, ci era arrivato diffidente, ma Zedda prima e Littarru poi, lo avevano convinto a studiare il mistero sardo-astronomico. E lui lo ha fatto. La sua pubblicazione gira il mondo, plurilingue: «Il pozzo nuragico di Santa Cristina, un observatorio lunare». Per loro, il Contadino, l'Ingegnere e il Professore vale una tesi su tutte: possiamo discutere sulla funzione, ma non sulla scienza esatta dell'astronomia. E questa notte, in attesa dell'Epifania, vale come l'ennesima prova regina delle loro tesi. Per avvinarci al teatro cosmico veniamo diffidati dal guardare in cielo, da osservare rigorosamente, prima di tutto, c'è quella imponente macchina della registrazione notturna che l'equipe di Lebeuf ha fatto piazzare in quello che lui considera «un capolavoro, che unisce un'insolita sobrietà a un'incredibile complessità architettonica». Lo spiega nel buio incantato di questo proscenio esclusivo, unico al mondo: «A differenza di altri edifici dello stesso tipo, ogni strato successivo è leggermente arretrato rispetto a quello sottostante, lasciando ad ogni livello uno spazio, uno stretto margine di circa due centimetri». Il professore, guarda il cielo e spera nel varco delle nuvole, ma non rifugge dalla lezione notturna: «È impossibile che i sardi antichi si siano voluti complicare in maniera così drammatica la realizzazione di questo monumento se non per una ragione precisa: la sua funzione astronomica. Dei quasi cento pozzi nuragici conosciuti nell'isola, quasi tutti sono costruiti con pietre grezze: solo tre sono di pietre scolpite, e solo Santa Cristina si è conservata nella sua integrità».

L'intuizione astronomica

L'intuizione astronomica nasce nel 1972, Carlo Maxia e Lello Fadda, su proposta di Eduardo Proverbio, misurano le inclinazioni del monumento. I riscontri sono sbalorditivi: il valore ottenuto è approssimativamente la declinazione lunare al momento del Lunistizio maggiore del Nord. La misurazione, però, non sarebbe precisissima. È nel 2005 che il docente franco-polacco decide di sbarcare in Sardegna per toccare con mano e vedere di persona Santa Cristina. Per lui quella visita sarà un cambio di vita. Iniziano anni di rilevazione, sempre più approfonditi. Gli incroci topografici, il flusso di notizie che gli arriva da Mauro Zedda e Paolo Littarru, su altri esempi nuragici, sono ogni giorno una prova dirimente. Le sue conclusioni sono oggettive: «L'analisi di queste misure mostra chiaramente che non è possibile supporre per un solo istante che una costruzione così unica, precisa ed efficace possa derivare dal caso, dalla fortuna o dall'incidente. Siamo dinanzi al più avanzato strumento astronomico mai visto prima, risalente a tremila anni fa. Realizzato dai sardi antichi".

Mezzanotte lunare

È mezzanotte. Il silenzio è rotto solo dagli scatti irrefrenabili della Reflex moderna che immortala la storia. Un varco leggero, per un solo attimo, si apre tra le nuvole. Il riflesso lunare, quello che si registra ogni 28 giorni, entra nel cuore del più antico e sofisticato strumento astronomico della civiltà nuragica, quella degli ingegneri del cielo e dei contadini della terra.

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