Abulico, adepto, afflizione, biasimare, caparbio, coacervo, collimare, desueto, esimere, fedifrago, giubilo, indigente, inebriante, inetto, intrepido, lungimirante, mentore, menzionare, millantatore, modico, morigerato, nugolo, ondivago, ostico, pusillanime, redimere, sagace, smussare, tergiversare, visibilio. Sono le trenta parole che hanno messo in crisi serissima gli studenti del corso di Linguistica a Cagliari: il significato di ondivago era ignoto al 95 per cento del campione, quello di coacervo all'88 per cento. E a leggere certe spiegazioni c'è da ridere, o mettersi le mani nei capelli: per uno redimere significa licenziare, per un altro si possono esimere spiegazioni, per un altro ancora il fedifrago è, né più né meno, un cannibale.

IL DOCENTE La ricerca, condotta dal docente dell'ateneo cagliaritano Massimo Arcangeli e i cui risultati sono illustrati in un libro pubblicato dallo studioso ("Cercasi Dante disperatamente. L'italiano alla deriva", edizioni Carocci) è finita sotto le luci della ribalta in questi giorni perché se ne è parlato a Siena, nel festival dell'italiano e delle lingue d'Italia intitolato Parole in cammino e diretto proprio da Arcangeli, e ha trovato eco sia sul quotidiano La Repubblica che sul tg satirico Striscia la notizia. «Sono parole dell'italiano colto, certo, ma non coltissimo», commenta il linguista. «E sono termini non desueti».

Arcangeli è preoccupato: «Si pensa che per un certo numero di parole che vanno a morire ce ne siano altrettante che entrano nell'uso. Ma in realtà non c'è compensazione. E fra le parole che molti ragazzi non capiscono ce ne sono diverse, per esempio "indigente" che si trovano in testi che è importante saper decodificare: leggi, regolamenti, bandi, articoli di giornale».

I TEST ALLE SUPERIORI I dati sulle ignoranze lessicali dei ragazzi cagliaritani coincidono (o collimano), con quelle degli studenti di licei e istituti superiori di una decina di regioni, sottoposti allo stesso test (ma con parole diverse) nei mesi scorsi. Per esempio, uno studente di un liceo linguistico di Siena ha cercato di spigare il verbo "collimare" tirando in ballo il mare e le colline. «Nei prossimi mesi - dice il linguista - intendiamo estendere la ricerca alle regioni mancanti: l'adesione da parte delle scuole è entusiastica».

OSSERVATORIO Quando parla al plurale, il professor Arcangeli si riferisce all'Osservatorio linguistico che ha aperto nell'ambito dell'Ateneo del capoluogo isolano: un laboratorio in cui coinvolge i suoi studenti. Quelli del primo anno, per esempio, sono impegnati nella redazione di un dizionario del Renzese, la lingua parlata dall'ex presidente del Consiglio dei ministri: «È quasi pronto». Uno strumento che potrebbe essere utile a tutta Italia, l'Osservatorio cagliaritano: «Se ai ragazzi fossero somministrati periodicamente dei test si avrebbe un quadro aggiornato dello stato di salute della lingua». Che, a questo punto lo si è capito, non è buono.

LE CAUSE Di chi le colpe? I ragazzi non leggono abbastanza? «La lettura - risponde Arcangeli - c'entra ma fino a un certo punto». La scuola? «Anche. Occorre che qualcuno si faccia carico della qualità del lessico dei ragazzi. Ma non si può dare alla scuola tutta la responsabilità». La rete e i social? «Incidono: tutti, frequentandoli, sappiamo che c'è quel pizzico di superficialità nel modo di comunicare sui social network. Ma è un errore pensare che tutto il male stia lì: la rete, se usata bene, è uno strumento eccezionale». Fatto sta che i ragazzi non sono in grado di capire parole nemmeno troppo rare. Come intervenire? «Scuola, università ed editoria dovrebbero unirsi e pensare a un progetto comune».

Marco Noce

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