Riceviamo un intervento sul tema dell’acquacoltura da Pierluigi Mannino, consigliere comunale a Cagliari, presidente della Commissione per la Valutazione delle politiche comunali e la qualità dei servizi e presidente della commissione Attività produttive, Turismo e Promozione del territorio.

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«In occasione di un recente viaggio in Norvegia, ho avuto occasione di visitare la Eide Fjordbruk ed incontrare i vertici aziendali. La Eide Fjordbruk, meglio conosciuta sui mercati come Eide, è un’azienda di acquacoltura molto nota per le innovazioni dirompenti ed il proprio impegno nel campo della sostenibilità. È anche il primo allevatore di salmone al mondo ad aver ottenuto la certificazione di neutralità carbonica. Tra i prodotti creati da Eide c’è anche il famoso Salmon Zero, il primo salmone certificato ad emissioni zero».

«Ma l’azienda norvegese, come mi è stato spiegato, non si limita a produrre salmone e ritiene che sia un suo preciso dovere informare i consumatori e la società su cosa significhi davvero, al di là degli stereotipi e dei luoghi comuni, fare acquacoltura nel 2023. Per raggiungere questo obiettivo ha realizzato il Salmon Eye, una gigantesca ed ipertecnologica scultura galleggiante a forma di occhio di salmone, progettata dal famoso studio danese Kvorning Design, e posizionata nel cuore del fiordo di Hardanger, il più pittoresco tra i fiordi norvegesi».

«Il Salmon Eye, immediatamente diventato un’icona del paesaggio norvegese e già virale su tutti i social media, ospita un centro di divulgazione aperto a tutti e visitabile con tour guidati. Al suo interno, contenuti multimediali accompagnano l’ospite in un viaggio attraverso le sfide e le potenzialità di un settore al centro di critiche spesso strumentali ed immotivate. Per garantire neutralità ed oggettività delle informazioni, il centro ha un comitato scientifico indipendente comprendente alcune delle voci più autorevoli dell’accademia e della società norvegese, tra loro anche noti ambientalisti.

La visita al Salmon Eye, al di là della pregevolezza architettonica della struttura, davvero notevole, è stata un’esperienza veramente interessante ed istruttiva. Queste sono alcune delle cose che il visitatore apprende durante il tour e quando si trattiene a chiacchierare con le gentilissime guide: solo il 2% delle calorie consumate sul pianeta proviene dal mare; l’acquacoltura ha già superato la pesca in termini di produzione totale e nel 2050 dovrebbe coprire il 90% del fabbisogno globale di prodotti ittici; la quasi totalità degli stock di pesce selvatico e pesantemente sovrasfruttata. Per tale ragione sarà l’acquacoltura a doversi fare carico da sola dell’aumento dei consumi conseguenza della crescita demografica globale; il salmone allevato è da anni al vertice di tutte le classifiche di sostenibilità ed è la proteina animale allevata con le immissioni carboniche di gran lunga più basse, circa un decimo rispetto alla carne bovina ed inferiori persino rispetto a quelle del prodotto pescato. Nel Coller FAIRR Protein Producer Index, classifica di riferimento globale dei produttori di proteine più sostenibili, tre produttori norvegesi di salmone occupano i primi tre posti ed i produttori di salmone ben 8 delle prime 13 posizioni; le “altissime densità di allevamento”, spesso usate come argomento dai detrattori dell'acquacoltura, non possono eccedere i 25 kg per metro cubo, ovvero 97,5% acqua e solo 2,5% pesce. Una densità così bassa, e parlo per esperienza personale, da far sembrare le vasche semivuote quando in pesci nuotano in prossimità del fondo; nella storia dell'acquacoltura norvegese non sono mai stati trovati residui di antibiotici e farmaci nel prodotto destinato al consumo e, a fronte di una produzione totale di circa 1,5 milioni di tonnellate (circa 10 miliardi di porzioni!), le prescrizioni di antibiotico sono meno di 50 l’anno».

«Nell’incontro che ha seguito la visita, mi è stato inoltre raccontato come l'azienda abbia recentemente avviato, iniziativa pressoché unica nel panorama mondiale, il primo sito su scala commerciale, non il classico esperimento, esclusivamente dedicato all’acquacoltura multitrofica integrata (IMTA). L’obiettivo è quello di produrre simultaneamente, nello stesso sito, decine di specie a basso livello trofico grazie all’effetto fertilizzante dei reflui del salmone. In altre parole, i nutrienti in essi contenuti consentiranno la produzione di numerose varietà di micro e macroalghe. Le microalghe verranno successivamente consumate da organismi fitoplanctofagi come le cozze, le ostriche e le capesante. Altri organismi, erbivori, come i pregiatissimi ricci verdi norvegesi, consumeranno invece le macroalghe mentre le oloturie consumeranno il materiale organico presente nel substrato. Altri ancora, come i granchi, si alimenteranno delle cozze sottotaglia o rotte non idonee all’alimentazione umana. Una parte delle cozze verrà impiegata invece nella formulazione del mangime per il salmone stesso rientrando così nel ciclo dei nutrienti. L'azienda ha già messo in cantiere diversi siti di questo tipo. Un esempio mirabile di economia circolare che riesce a trasformare lo scarto in risorsa ed abbattere l’impatto ambientale delle produzioni. Ma il vero obiettivo di Eide è andare oltre e passare dall’acquacoltura a impatto zero all’acquacoltura ad impatto positivo».

«Gli esperimenti già effettuati dimostrano infatti che i siti IMTA divengono rapidamente delle lussureggianti oasi sommerse di biodiversità dove gli organismi selvatici convivono in gran numero con quelli allevati trovando cibo e riparo come nelle barriere coralline. Per questa ragione, i siti IMTA favoriscono addirittura il ripopolamento delle aree limitrofe. Tutt’altra cosa rispetto all’immagine dell'acquacoltura spesso trasmessa dai media».

«Va bene, direte voi, l’acquacoltura è indispensabile per far fronte alla stagnazione dei volumi pescati e, quando fatta bene, può addirittura avere un effetto positivo sull’ambiente però, il pesce allevato, che noia! E qui Eide cala l’asso. Proprio per ribattere a questa obiezione, l’azienda ha recentemente aperto, sempre nella prestigiosa cornice del Salmon Eye, il ristorante Iris, definito da Vanity Fair il “più cool dell’estate”. Iris è già un fenomeno a livello planetario e probabilmente il locale più “instagrammabile ed instagrammato” al mondo. A pochi giorni dall’apertura, il ristorante guidato dalla giovane chef-star Anika Madsen ha già una lista d’attesa infinita nonostante i prezzi tutt’altro che popolari. L’obiettivo di Iris, perfettamente raggiunto, è proprio quello di dare lustro a materie prime sane e squisite, accomunate dal trait d’union della massima sostenibilità, ma spesso snobbate da chef e consumatori per semplice mancanza di informazioni corrette ed attendibili».

«L’acquacoltura è in grado di produrre proteine ad alto valore biologico e grassi nobili (i famosi omega 3) per l’alimentazione di tutti i giorni ma anche cibi preziosi e unici come nel caso delle ostriche, del caviale e dei ricci di mare. In Norvegia il pesce allevato rappresenta la seconda voce dell’export dopo il petrolio e l’acquacoltura ha già superato per volume d’affari il settore vitivinicolo italiano. Il paese scandinavo ritiene l’acquacoltura il settore di riferimento per la transizione verde verso l’economia del dopo petrolio e punta a quintuplicare le produzioni».

«Questi dati e l’incontro con Eide non potevano che far nascere alcuni interrogativi. E l’acquacoltura italiana? E quella sarda? L’Italia consuma ogni anno quasi 2 milioni di tonnellate di prodotti ittici ed il consumo domestico, che vale circa 13,5 miliardi di euro all’anno, è il più alto dell’Unione Europea. I nostri mari, se si considera la sola pesca, non riescono e non riusciranno mai a far fronte all’enorme appetito degli italiani e già oggi, incredibilmente, quasi tutto ciò che consumiamo nel nostro paese è importato (oltre l´80%). Sembrerebbero quindi esistere le condizioni ideali per lo sviluppo fiorente della piscicoltura marina. Invece, il suo contributo rimane davvero limitato. La produzione italiana di orate e branzini raggiunge a malapena le 15.000 tonnellate (circa 0,75% del fabbisogno ittico nazionale totale) e la Sardegna, con sole 2.000 tonnellate all’anno (circa 0,1% del fabbisogno ittico nazionale totale) non va certamente controtendenza. L’Italia si comporta molto meglio con le produzioni di cozze e vongole e l’alto Adriatico, grazie alla ricchezza di nutrienti, rappresenta uno dei punti di riferimento Europei sia in termini quantitativi che qualitativi. Anche la Sardegna, con i poli produttivi di Arborea e Olbia riesce a dire la sua nell’ambito della mitilicoltura nazionale. Ma il reale potenziale dell’acquacoltura sarda rimane ancora quasi del tutto inespresso».

«Eppure, questo settore potrebbe rappresentare una vera e propria svolta per l’economia della nostra isola, una terra che unisce condizioni perfette per la produzione ad un brand unico e riconoscibilissimo a livello nazionale ed internazionale. Non solo, grazie al ripopolamento di coste e lagune con organismi riprodotti in cattività, l’acquacoltura potrebbe rappresentare una svolta anche in termini ambientali e contribuire anche al rilancio della pesca, attività sinergica con l’acquacoltura e non antitetica ad essa. Cefali da bottarga, vongole, polpi e le preziose oloturie sono solo alcune delle specie in forte declino numerico che potrebbero essere immesse in natura seguendo un approccio IMTA non troppo diverso da quello già impiegato da Eide. Questo porterebbe enormi benefici agli ecosistemi ma anche alle già nominate attività di pesca, all’indotto in senso tradizionale e, ovviamente, al turismo. Coloro che visitano la Sardegna desiderano prodotti locali, non orate allevate in Turchia e polpi pescati nell’Oceano Indiano.

Anche il problema del riccio, organismo che in Norvegia è stato riprodotto su scala industriale già una decina di anni orsono, potrebbe essere brillantemente risolto con il ripopolamento. E non c’è dubbio, basta dare uno sguardo sui social per capirlo, proprio lo spaghetto ai ricci rappresenterebbe una delle maggiori attrazioni di ogni viaggio in Sardegna degno di questo nome».

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