Lo spettacolo o la pagnotta? L'eterno dilemma: meglio divertire, attaccare e prenderne cinque, o magari blindarsi ed evitare tracolli? Massimo Rastelli, professione allenatore, la risposta ce l'ha e la vediamo sul campo.

Lui, che è stato un bell'attaccante, cuore e fantasia, corsa e astuzia, ha capito sulla sua pelle che l'obiettivo è la prima cosa.

Per lo spettacolo, c'è sempre il Barcellona. Positivo a ogni costo. Inflessibile: "Sennò c'è spazio per gli alibi". Aveva un sogno, allenare in Serie A. Ora ne ha un altro, bellissimo.

Alla fine vedremo qual è. Sposato, tre figlie, ha uno sguardo che ti fa capire quanto sia dentro il suo lavoro. Sempre. Appena finisce al campo, ricomincia a casa. "A cena stacco, però".

Nato a Torre del Greco, ama tutto di Cagliari. Ma non la mozzarella di bufala: "Beh, la nostra è inimitabile". Però quella parmigiana di melanzane assaggiata ad Assemini... "Può competere, lo ammetto".

Ripete spesso la parola "rispetto", il concetto base della sua vita. Criticato, anche ferocemente, da una parte del pubblico che segue il Cagliari, accetta con educazione: "Posso non piacere".

Ha un pregio, non sa cosa sono i social. Anche se sa cosa c'è scritto. Rastelli ha una faccia che tradisce il vero scopo della sua vita: sai che sta pensando a un movimento, a una diagonale, alla posizione dell'attaccante, anche quando chiacchiera affabilmente del più e del meno.

Vive per il calcio, mangia calcio, per evitare che la testa segua la sua passione devono legarlo. Sarà per questo che il presidente del Cagliari, Tommaso Giulini, lo ha difeso contro tutti quando, dopo un paio di mesi di Serie A - da esordiente - sembrava avesse perso il timone della squadra. Uno come lui, al di là dei numeri, non lo trovi facilmente. Con il Cagliari impresso sulla pelle.

Facciamo un bilancio, prima della volata finale del campionato.

"Altamente positivo. In tutto. Sono arrivati i risultati e sono cresciuto professionalmente in una delle più prestigiose piazze d'Italia. Ho conosciuto Cagliari più nel profondo, prima solo da turista. E adoro tutto, il vostro modo di essere ospitali, ma con discrezione. Mia moglie e la piccola delle mie figlie sono rimaste stregate, come me, da questo posto".

Il momento più bello e quello meno esaltante.

"Facile, il più bello è certamente la conquista della Serie A, l'attimo in cui è arrivata la certezza, a Bari. Aver raggiunto l'obiettivo, mai stato in discussione, ci ha liberato. Meno esaltanti? Qualcuno, sì, ma non ne parlo. In un percorso come il nostro ce ne sono sempre, ti aiutano".

La città: dal primo impatto a oggi, cosa è cambiato?

"La qualità della vita è altissima. Cagliari ti permette di staccare la spina ma anche di concentrarti. Lo stress, nel mio lavoro, è alle stelle ma quest'aria ti aiuta tantissimo a stemperare. Insomma, si lavora meglio quando si può vivere in un paradiso simile".

La gente, tifosi esclusi.

"Ho ricevuto un'accoglienza straordinaria, perché gli allenatori passano ma l'uomo resta. Stima, affetto, sincerità, rispetto. Posso piacere o meno come allenatore, ma quando dai tutto te stesso trovi dall'altra parte tantissimi che lo capiscono. E ricambiano".

Rastelli senza il calcio. Cosa fa, cosa vorrebbe fare.

"Cosa faccio? Sto a casa. Esco poco, uno dei sacrifici che chiedo alla mia famiglia. Campo e casa. Il calcio condiziona tutto, i miei umori e la mia voglia di evasione. Appena torno da Assemini, studio gli avversari, mi aggiorno. Tutto qua".

Rastelli senza il calcio: cosa avrebbe fatto?

"Da ragazzo seguivo mio padre, faceva il frigorista. E voleva che imparassi il suo mestiere. Ci ho provato, ma col pallone diciamo che avevo numeri importanti...".

La famiglia: quante ore con loro? Cosa c'è di sacro nei riti casalinghi?

"A colazione e a cena ci sono sempre. Quello è sacro. A pranzo mai, perché sto ad Assemini. La mia vita familiare e il lavoro sono spesso una cosa sola".

Ha mai pensato di mollare, quando è stato in difficoltà?

"Mai. E le difficoltà sono state tante. Enormi, ma mi hanno insegnato tanto, facendomi capire cosa avrei trovato dopo. Ho smesso di giocare a 40 anni e tre mesi dopo, con la Juve Stabia, ero già in panchina. Promossi. E poi sono andato via, volevo cambiare aria, crescere".

Le tre regole fuori dal campo.

"Rispetto. Autostima. Obiettivi da inseguire, dando sempre tutto".

Quelle in campo.

"Rispetto dei calciatori. Degli orari. E mai alibi".

L'allenatore è più terapista di gruppo o insegnante di tattica?

"Devi essere completo, lavorare a 360 gradi sui giocatori. Hai venticinque ragazzi con grandi esigenze e grandi fragilità. Sì, insegni calcio ma devi anche essere un padre comprensivo".

Quanto c'è di Rastelli nella squadra che va in campo?

"La squadra è figlia del tuo carattere, dei tuoi valori, delle tue idee. Ma non sempre, per motivi inspiegabili, riusciamo a incidere dalla panchina. E allora arrivano le batoste".

La tensione: cosa sente prima di una gara? Quante ore dopo, il battito si normalizza?

"Appetito zero, come quando giocavo. Ho lo stesso peso di allora, sarà per quello... ma lo stress fa parte dei rito della domenica, ti tiene in vita, lo stomaco ti avverte che sta arrivando la partita, ti accende i sensi. E parecchie ore dopo, la sensazione è simile".

La città e il cibo: cosa mangia? Cosa rimpiange di casa?

"Sono affezionato a pochi posti, ma dovunque a Cagliari si mangia bene. La bufala non si può imitare, anche facendola arrivare perde tanto. Ma in un agriturismo di Assemini ho trovato una parmigiana che mi ha stupito. Amo la bottarga, ma non i ricci, lo ammetto. Per le seadas impazzisco".

Il clima di Cagliari.

"Il vento è una novità, ma la luce e il mare sono il massimo. Con mia moglie andiamo a correre al Poetto e sono sensazioni straordinarie".

In auto, per strada: che musica?

"La radio. Non ho particolari preferenze. Anzi, no, mi piacciono molto i talk, le storie, la radio parlata".

Da solo, la testa che viaggia: pensa alle critiche o pensa al domani?

"Le critiche cerco di non farmele pesare. Le conosco, le giustifico, ma non possono e non devono condizionare le mie scelte. Io devo dimostrare chi è Massimo Rastelli, con i miei difetti e la mia voglia di lavorare. E accetto che ci siano persone alle quali non piaccio".

I sogni: la finale di Champions o un progetto che va avanti?

"Sogno di sedermi in panchina nel nuovo stadio del Cagliari. Quello è il mio progetto, il mio sogno".

Questa intervista è stata realizzata poche ore prima degli scontri fra tifosi a Sassari, quindi non vi sono accenni ai fatti di cronaca.
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