In gran parte sono donne. Psichiatre, psicologhe e infermiere alle prese con pazienti difficili. Nel giugno scorso a Quartu un'infermiera è stata afferrata da un ex militare palestrato e lanciata contro il muro; di recente una dottoressa dell'ospedale cagliaritano Santissima Trinità è stata picchiata da un tossicodipendente che le ha rotto il naso con un pugno; il 20 ottobre una psichiatra del centro di salute mentale di Assemini ha deviato con il braccio destro il computer scagliato da un paziente davanti a due vigili urbani che solo dopo le urla della donna hanno afferrato l'aggressore e chiamato i rinforzi. E se questo era il brutto, il bruttissimo doveva ancora arrivare: tempo cinque minuti e l'aggressore era di nuovo lì, libero e solo. Nonostante la presenza della polizia municipale e l'intervento dei carabinieri. Sono passati venti giorni e Ilaria Vannucci, 53 anni, cagliaritana, psichiatra dal 1994, ha il braccio destro - fratturato - appeso al collo. Non è ancora tornata al lavoro. Neppure sa se lo farà. "Non torno fino a quando non avrò garanzie che l'aggressore è stato inserito in un percorso di cura. Probabilmente perderò il posto".

Insieme a lei c'era una sua collega.

"È rientrata tre giorni dopo e sa che cosa è successo"?

No.

"C'era di nuovo l'aggressore. È terrorizzata, non dorme la notte, è in malattia anche lei".

Ha presentato una denuncia?

"Certo, un esposto dettagliato sul comportamento di vigili urbani e carabinieri. Lavoriamo in una situazione rischiosissima".

Che cosa è successo il 20 ottobre?

"Alla fine di una mattina convulsa...".

Convulsa?

"C'era un numero spaventoso di pazienti".

Quanti ne visita solitamente ogni giorno»?

"Una ventina".

Che tipo di pazienti?

"Con patologie gravissime ma pure ansia, depressione e problemi di lavoro: è un'utenza varia. Non prendiamo in carico i tossicodipendenti anche se c'è il problema della doppia diagnosi".

Cioè?

"Tossicodipendenti con patologie rilevanti. Per usufruire dei benefici della legge 20 che garantisce un sussidio vengono da noi per i certificati".

Anche il 20 ottobre?

"Sì. Alle 13,30 stavo per andar via ed ero in riunione con una psicologa. Abbiamo sentito urla: all'ingresso c'erano una donna agitata con un'infermiera, la mia collega di guardia, il medico di famiglia e il figlio, nostro paziente. Dovevamo procedere col Tso, il trattamento sanitario obbligatorio: un infermiere ha avvisato la polizia municipale, intanto il medico di famiglia è andato via".

E poi?

"Con la mia collega eravamo in accettazione quando abbiamo sentito le urla di un uomo".

Il figlio.

"No, un altro nostro paziente in doppia diagnosi. Era agitato, voleva un farmaco che non possiamo somministrare. È andato in escandescenze. Noi eravamo tranquille perché erano arrivati due vigili. Il paziente ha preso a calci la porta, sbattuto la tastiera del computer, dato pugni sulla scrivania. Io ero seduta, bloccata tra il muro e la scrivania, a fianco a me la mia collega".

E i due vigili?

"Fermi. Io ero in trappola: quando ho capito che dovevo sbrigarmela da sola mi sono preoccupata di parare il colpo che sapevo sarebbe arrivato. Col braccio destro mi sono riparata la testa dal lancio del monitor. Ho iniziato a urlare: 'chiamate il 113'. La mia collega gridava contro i vigili: 'volete farci ammazzare?' Un agente ha afferrato l'aggressore e ordinato all'altro: 'chiama i rinforzi, qui è un caos'".

Ed è tornata la calma.

"No. Tempo cinque minuti, mentre ancora la donna del Tso andava in escandescenze e c'era pure il problema del figlio, l'aggressore era di nuovo a fianco a me. Libero. E solo".

Dov'erano i vigili?

"Non lo so. Il mio polso si gonfiava. Ci siamo chiuse nella stanza dove c'erano la paziente e le infermiere".

Che avete fatto?

"Abbiamo aspettato i carabinieri. Quando sono uscita ho visto quattro vigili che indossavano le protezioni. C'era pure l'aggressore".

In manette.

"No. Spiegava: stava protestando per i sussidi della legge 20. Io pensavo lo avrebbero arrestato".

Invece?

"Un carabiniere mi ha chiesto i documenti, mentre andavamo nella mia stanza una psicologa mi ha dato una busta col ghiaccio per il braccio. Ho chiesto se lo stessero arrestando, il carabiniere ha sorriso senza rispondermi. I militari sono andati via e io, sola nella mia stanza, per la prima volta ho avuto paura".

Nessuno si è preoccupato del suo braccio?

"Nessuno: ho preso la borsa e sono uscita dalla porta laterale. Sul loggiato c'erano i quattro vigili con le protezioni. Mi sono infilata in macchina, per fortuna ho il cambio automatico, e da sola, guidando con la mano sinistra, sono andata al pronto soccorso del Santissima Trinità, a Cagliari. E lì ho pianto. Avevo paura degli altri pazienti in sala d'attesa: come può un medico aver paura dei pazienti"?

Possibile che non sia stata chiamata un'ambulanza?

"Nessuno l'ha chiamata".

Dell'infermiera aggredita a Quartu non si è saputo niente: come mai?

"Non lo so, forse sono poche le persone che parlano".

Perché?

"Non tutti si espongono, è difficile".

Molti medici sono donne.

"Sì".

Sarebbe utile un presidio di polizia?

"Abbiamo visto che non serve a niente".

Che cosa propone allora?

"Procedure per la sicurezza dei lavoratori prima che finisca come a Bari dove una psichiatra è stata uccisa".

Quali procedure?

"Centri chiusi, telecamere, vie di fuga, sistemi d'allarme".

Le guardie giurate potrebbero garantire la sicurezza?

"Io penso che nei centri di salute mentale siano fondamentali i protocolli con le forze dell'ordine. Il nostro è un lavoro intrinsecamente pericoloso. Noi non siamo tutelati: i vigili avevano le protezioni, noi solo scienza e coscienza. E poi: gli aggressori non vengono mai sanzionati".

Perché incapaci di intendere e volere.

"Non sempre. Ci sono responsabilità penali e civili che andrebbero perseguite".

M. Francesca Chiappe

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