A trent'anni di distanza dalla morte, è iniziato oggi davanti alla corte d'Assise di Varese il processo per l'omicidio di Lidia Macchi, la studentessa violentata e uccisa con 29 coltellate la sera del 5 gennaio 1987.

Sul banco degli imputati Stefano Binda, oggi 50enne, ex compagno di liceo della vittima.

I legali dell'uomo, che si è sempre dichiarato innocente, hanno giocato una nuova carta difensiva: secondo quanto affermato dagli avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito, Binda non sarebbe l'autore del componimento "In morte di un'amica", la poesia trovata in una lettera anonima recapitata ai genitori di Lidia pochi giorni dopo la sua scomparsa.

Lettera che, fino a oggi, rappresentava il principale indizio contro Binda, perché - secondo quanto affermato da una testimone - riporta la sua calligrafia e il suo stile di scrittura.

Oggi all'apertura del processo è stata ascoltata dai giudici una persona - di cui non si è stata resa nota l'identità - che avrebbe confessato di essere l'autore del poema. Una rivelazione che potrebbe riaprire il caso, di fatto scagionando Binda.

Nell'inchiesta sulla morte di Lidia Macchi, era stato coinvolto anche il prete di origini sarde don Giuseppe Sotgiu.

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