«Non so perché l'ho fatto, è stato un raptus. Voglio parlare con un sacerdote».

Quel gesto d'impeto, incontrollato, mosso da una furia irrefrenabile oltre il limite della sua coscienza che lo avrebbe spinto a uccidere i genitori adottivi, è «inspiegabile» per chi, come lui, ha un rosario tatuato sul braccio.

Nella stanza del reparto di Ortopedia, al Cto di Iglesias, dove Igor Diana si trova ricoverato da giovedì sera per le ferite riportate nel conflitto a fuoco con le forze dell'ordine durante la sua cattura avvenuta poche ore prima, questo pensiero non gli dà pace. Tormentato e devastato dal dolore, il 27enne russo adottato all'età di 8 anni da Giuseppe Diana e Luciana Corgiolu, ammazzati nella notte dell'8 maggio su sua stessa ammissione davanti al pm Daniele Caria, sabato scorso ha chiesto ai suoi avvocati difensori (Federico Aresti e Antonella Marras) di incontrare ieri mattina il cappellano dell'ospedale don Silvano Cani, con cui ha parlato per un paio d'ore. Mentre oggi lo attende l'interrogatorio di garanzia del giudice Giovanni Massidda che potrebbe convalidare l'arresto per «omicidio plurimo» su richiesta del magistrato inquirente che ha formulato l'accusa sulla base delle indagini condotte dal dirigente della squadra Mobile della Questura di Cagliari Alfredo Fabbrocini.
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